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Cosa dice alla teologia, ai teologi e alle teologhe il rapporto CIASE
sugli abusi nella chiesa cattolica in Francia 1950-2020

di Massimo Faggioli
(Villanova University)
@MassimoFaggioli

Il rapporto della commissione CIASE sugli abusi sessuali nella chiesa cattolica in Francia tra 1950 e 2020 è stato pubblicato il 5 ottobre 2021[1] e avrà effetti, al momento difficili da prevedere, sulla controversia ecclesiale a livello non solo nazionale, ma anche globale. Il presidente della commissione, il grand commis di Stato Jean-Marc Sauvè, ha affermato nella conferenza stampa di presentazione che “dobbiamo liberarci dell’idea che la violenza sessuale nella Chiesa cattolica sia stata completamente debellata e che il problema è alle nostre spalle: no, il problema resta”. Il rapporto parla anche del fatto che la violenza sessuale è “significativamente” più elevata negli ambienti ecclesiali rispetto ad altri circoli sociali come la scuola o i campi vacanze, ad eccezione della famiglia, che è il luogo in cui il rischio di abusi sessuali rimane il più alto. Rimane quindi un problema urgente di prevenzione e repressione del fenomeno.

Ma il rapporto CIASE è anche un documento che pone seri interrogativi teologici alla teologia: essi dovranno essere affrontati da una teologia che ha tra i suoi pubblici non solo l’accademia, ma anche la chiesa e la sfera pubblica. Questo breve articolo si propone, senza alcuna pretesa di essere esaustivi o definitivi, di cominciare a fare una prima lista delle questioni.[2]

Studiare gli abusi a partire dalle vittime

L’eccezionalità di questo rapporto è il punto di riferimento etico e metodologico. In apertura, il rapporto afferma che “le vittime hanno una conoscenza unica della violenza sessuale e solo loro sono in grado di darci accesso all’argomento. È la loro parola che è servita da leitmotiv al rapporto della commissione. È grazie a loro che il rapporto ha potuto essere concepito e scritto. È grazie a loro, e non solo a coloro che ci hanno dato il mandato, che l’opera è stata compiuta” (par. 12). È la riprova della natura trasformativa, a livello di empatia ma anche conoscitivo, di ogni sincero sforzo di studiare e comprendere la crisi degli abusi nella Chiesa cattolica.

Le vittime sono al centro, ma allo stesso tempo esse non sono state incluse nella lista dei membri della commissione, scelti personalmente da Sauvè, al fine di tutelare la terzietà del lavoro della commissione. Questo pone questioni etiche alla teologia che lavora sul campo: come includere, nella ricerca come anche nell’insegnamento, la voce di vittime e sopravvissuti? Insegno dal 2019 un corso universitario su storia e teologia della crisi degli abusi nella chiesa, e la questione è tornata spesso alla superficie. La questione è come gestire, per questo tipo di ambito, quella che la studiosa francese della Shoah Annette Wievorka ha chiamato “l’era del testimone”: come verificare il racconto del testimone, mantenendone il rispetto e inquadrandolo in una cornice più ampia che aiuti a comprendere la complessità del fenomeno. 

Un allargamento della definizione di “abusi sessuali nella chiesa”

Lasciando da parte per ora la questione terminologica (“abusi”, o “violenze”?) che assume aspetti diversi in lingue diverse, il rapporto CIASE è importante anche perché testimonia del fatto che rispetto alle prime fasi della storia dell’emersione del fenomeno (dagli anni Ottanta ai primi anni duemila), oggi l’oggetto non è più quello dei “preti pedofili”, ma molto più ampio dal punto di vista delle vittime, degli abusatori, e delle tipologie di crimine. Ad esempio, il rapporto distingue tra diverse “logiche di abuso e sistemi di controllo”: abuso in parrocchia, a scuola, in famiglia, in altri ambienti educativi, “abuso terapeutico” e “abuso profetico”, cioè subito da parte di leader carismatici e/o in nuovi movimenti ecclesiali. Distingue tra tre tipi di “impresa istituzionale” che offrono opportunità di abuso: sacramentale, vocazionale e caritatevole. Studia le modalità della “prise de la parole”: il primo ostacolo alla denuncia dell’abuso è “un’ignoranza costruita” (causando la difficoltà delle vittime di identificare l’abuso sessuale che avevano subito) così come il “silenzio, solitudine e sofferenza” ricevuti dalla comunità dai cattolici abusati. Si parla delle “deviazioni dell’autorità” e delle “deviazioni del sacro” come tipiche di una Chiesa troppo preoccupata di tutelare l’istituzione e per lungo tempo senza riguardo per le vittime.

Questa cornice molto più ampia rispetto a solo pochi anni fa pone alla teologia la questione di una risposta al fenomeno che tenga conto del fatto che gli abusi non vengono sempre e necessariamente da uomini ordinati al sacerdozio, e che i meccanismi di insabbiamento non sono sempre addebitabili solo e soltanto alla chiesa gerarchica, ma anche al laicato nella chiesa e ad altri attori (famiglie, stampa, polizia, potere giudiziario). Si tratta della inadeguatezza sia del “clericalismo” sia di quello della lotta al clericalismo come paradigmi omnicomprensivi per cogliere e risolvere la questione degli abusi nella chiesa. È la “zona grigia” di cui ha parlato spesso Hans Zollner SJ, uno dei massimi esperti e direttore del nuovo Istituto di Antropologia. Studi interdisciplinari sulla dignità umana e sulla cura delle persone alla Pontificia Università Gregoriana a Roma (sviluppo del pionieristico “Center for Child Protection” nel medesimo ateneo).

Abusi nella chiesa e nella società 

L’indagine condotta sull’intera popolazione francese, da un ente aconfessionale come l’INSERM (Istituto nazionale francese di sanità e ricerca medica), afferma che il 14,5% delle donne e il 6,4% degli uomini di età superiore ai 18 anni sono stati aggrediti sessualmente (non solo in ambito ecclesiale) quando erano minorenni. Come è stato notato, l’inchiesta commissionata dal CIASE è benvenuta perché solleva un enorme interrogativo sulla tutela dei bambini e della sessualità nel mondo occidentale, non solo nella Chiesa: “l’indagine voluta dalla CIASE apre un interrogativo enorme sulla tutela dell’infanzia e sulla sessualità nel mondo occidentale. A maggior ragione per la Chiesa, che non può reagire continuando nella logica delle mele marce. Le 45 raccomandazioni finali sono un programma a tutto campo. Il lavoro che la Chiesa compie va a beneficio di se stessa e dell’intera società.”[3]

L‘interrogativo che questo pone alla teologia è come tenere ben presente lo specifico degli abusi sessuali nella chiesa cattolica (identificazione dell’abusatore con la “sacralità” dell’istituzione chiesa, contesto sacramentale, etc.) ma nella presa di coscienza che il fenomeno non è presente soltanto nella chiesa. Allo stesso tempo, è urgente studiare come una teologia cattolica universale, a più voci, debba elaborare risposte di fronte a un fenomeno che nel cosiddetto “cattolicesimo emergente”, ovvero al di fuori dell’asse Europa, Americhe e Australia, è ancora in gran parte sommerso e i cui contorni epidemiologici e culturali sono meno conosciuti che in occidente. Se la teologia cattolica ha alcune coordinate per comprendere il rapporto tra chiesa e storia della sessualità in occidente e la sua importanza per il fenomeno degli abusi sessuali nella chiesa e nella società, la questione abusi assume tratti diversi per Africa, Asia, Australia e il Pacifico, dal punto di vista della cronologia e non solo.

Le raccomandazioni finali: per la chiesa ma anche la teologia

La parte già controversa del rapporto, sia all’interno della chiesa sia per il rapporto tra chiesa e stato, è quella con le raccomandazioni (disponibile in traduzione inglese insieme a una sintesi del rapporto https://www.ciase.fr/medias/Ciase-Summary-of-the-Final-Report- 5-ottobre-2021.pdf). La commissione CIASE qui ha preso in parola papa Francesco: “la Commissione ha fatto osservazioni invitando la Chiesa a porsi alcune domande fondamentali. Una parola di rassicurazione, tuttavia: in nessun momento il CIASE ha superato se stesso o superato il suo mandato, o addirittura, si potrebbe sostenere, prendere il sopravvento. Al contrario […] in questo preciso momento della storia dell’istituzione, colpita dall’acuta crisi degli abusi sessuali, le attribuisce la responsabilità di scavare fino alle radici del problema […] come chiarisce, tra le altre pubblicazioni, la già citata ‘Lettera di Papa Francesco al Popolo di Dio’.”[4]

Le raccomandazioni parlano di un riesame delle esigenze del celibato e del modello “super-eroico” sacerdotale. Cosa più sorprendente, propongono un esperimento sull’ordinazione al sacerdozio di uomini sposati. La commissione chiede di “valutare, per la Chiesa in Francia, le prospettive aperte dalle proposte del Sinodo dell’Amazzonia, in particolare il suggerimento che ‘ad experimentum […] uomini sposati potrebbero essere ordinati sacerdoti se soddisfano le condizioni per i pastori, come stabilito da san Paolo nella prima lettera a Timoteo’” (raccomandazione n. 4). Il rapporto ignora oppure evita di menzionare il fatto che papa Francesco, nell’esortazione Querida Amazonia di inizio 2020, ha scartato (almeno per ora) l’approvazione da parte del Sinodo per l’Amazzonia di tali proposte di riforma del ministero ordinato. Questo rapporto CIASE è un esempio di quanto possa essere complicata la ricezione di un documento sinodale come quello del Sinodo per l’Amazzonia: ciò che Francesco ha eccepito all’inizio del 2020, sta tornando a galla diciotto mesi dopo, da un rapporto indipendente che esprime la voce non solo della commissione ma anche di molti cattolici, in Francia e non. Va anche detto che il rapporto riconosce – non è superfluo ricordarlo – che la vita celibe non è di per sé la causa degli abusi: non tutti gli autori di abusi e violenze sono celibi, e non tutti i celibi o i single sono autori di abusi e violenze.[5]

Le raccomandazioni finali del rapporto CIASE sfidano la Chiesa cattolica a una riforma della sua struttura di potere, usando il linguaggio stesso della sinodalità di papa Francesco. Ma chiedono anche una revisione dell’insegnamento sulla morale sessuale “non separandolo dalla dottrina sociale della Chiesa e dall’uguale dignità di tutti gli esseri umani” (raccomandazione n. 11). Richiedono cambiamenti nella formazione catechetica: “Durante tutti i tipi di catechismo, insegnare ai fedeli, in particolare ai bambini e agli adolescenti, l’importanza di ascoltare la propria coscienza con intelligenza critica in ogni circostanza” (raccomandazione n. 6). Più Erasmo che Voltaire, si direbbe. È un compito che spetta alla chiesa istituzionale ma anche alla teologia, di fronte ai tempi lunghi della chiesa istituzionale. Alla teologia spetta anche il compito di tentare, per quanto possibile, di colmare il fossato tra elaborazione accademica e formazione al ministero, un gap che in alcuni paesi assume quasi la forma di chiese parallele. 

Ecclesiologia, movimenti e risarcimenti 

La questione dei risarcimenti alle vittime e sopravvissuti assume aspetti giuridicamente diversi in sistemi diversi: chiese concordatarie (come quella italiana o tedesca), chiese in regime di separazione (due sistemi separazionisti diversi in Francia e in USA), chiese missionarie o in regime di minoranza (come in gran parte dei paesi dell’Asia, per esempio), o in cui la chiesa riceve dallo stato un sostegno in cambio di servizi resi al pubblico, come scuole e ospedali (come in Australia). Ma al di là della questione legale, esiste anche una questione di ecclesiologia su cui è necessario riflettere. 

I vescovi francesi hanno già iniziato a chiedere ai cattolici francesi di contribuire finanziariamente a un fondo per i risarcimenti alle vittime, andando contro una delle raccomandazioni del rapporto (“questo fondo dovrebbe essere ricostituito dai beni dei colpevoli e da quelli delle istituzioni appartenenti alla Chiesa in Francia. Dovrebbe escludere ogni appello per donazioni da parte dei fedeli”). La raccomandazione in questo caso riecheggia una certa ecclesiologia gallicana o episcopalista, che tende a separare l’episcopato dai fedeli. La domanda da porsi è quale sia il significato di essere Chiesa “popolo di Dio”, quando si tratta di risarcire le vittime di abusi subiti non solo dal clero, ma anche da laici? 

A proposito di “popolo di Dio”, una parte molto interessante del rapporto e delle raccomandazioni riguarda i “nuovi movimenti ecclesiali” in alcuni dei quali, durante gli ultimi anni, sono stati scoperti casi di abusi. È evidente che c’è, da parte del pontificato di Francesco, una nuova politica verso i movimenti orientata a un maggiore controllo da parte di Roma, anche sulla scorta di quelle rivelazioni. Ma cosa ha da dire la teologia su questi nuovi movimenti? Tutto sembra affidato, per ora, al gioco della politica ecclesiale e alla politica dottrinale vaticana. 

Legge e Vangelo

Pochi giorni dopo la pubblicazione del rapporto CIASE, il presidente della conferenza episcopale francese, Eric de Moulins-Beaufort, è stato convocato dal ministro dell’Interno per le sue dichiarazioni sulla superiorità del diritto della Chiesa rispetto al diritto dello Stato in materia di difesa del sigillo della confessione. Su questo il rapporto fa una raccomandazione molto chiara: “Non si deve permettere ai confessori di derogare, in base alla santità del sigillo della confessione, agli obblighi previsti dal codice penale francese, conformi a quelli della diritto divino che prevede la tutela della vita e della dignità della persona”). Questa tensione tra raccomandazioni dei rapporti finali delle commissioni di inchiesta (questo per la Francia, ma anche per l’Australia a partire dalla pubblicazione del rapporto finale della “Royal Commission” nel 2017) e tutela del sigillo della confessione è diventata parte del dibattito attuale sui rischi per la libertà religiosa, che ovviamente assume aspetti diversi in diverse parti del mondo. Va notato che quello sul sigillo della confessione non è un dibattito che vede stato contro chiesa, ma vede cattolici da entrambe le parti. È una questione centrale che richiede un contributo non solo dei canonisti, ma anche della teologia morale e della teologia sacramentaria.

Non meno interessante è la raccomandazione del rapporto che consiglia che “non si prolunghino i termini della prescrizione” in favore della “cosiddetta giustizia riparativa”: “questo approccio sembra preferibile ad un’ulteriore proroga della prescrizione per legge, opzione che CIASE ha approfondito prima di respingere, considerandola un vicolo cieco. Un prolungamento della prescrizione non aiuterebbe nel riconoscimento dei reati e non aiuterebbe le vittime nella loro ricostruzione, anzi queste ultime si troverebbero di fronte all’esito ancor più incerto di un processo penale a causa dei lunghi tempi trascorsi dall’evento”. Questo modello emergente della giustizia riparativa richiede un confronto con il modello di giustizia del diritto canonico sulla questione degli abusi, anche alla luce delle recenti modifiche al Libro VI.

Questo ha a che fare anche con la raccomandazione sulle “celebrazioni liturgiche in memoria delle vittime e delle loro sofferenze”. Come istruire una cultura liturgica che impari la lezione della memorializzazione e monumentalizzazione in ambito civile, ovvero che tenga viva quella memoria senza diventare anestetica? 

Abusi e sinodalità

Una raccomandazione (n. 34) affronta di petto la questione gerarchica nella chiesa cattolica: “è necessario esaminare da vicino la costituzione gerarchica della Chiesa cattolica alla luce del disaccordo interno alla chiesa sulla comprensione di sé: tra comunione e gerarchia; tra successione apostolica e sinodalità; e, in sostanza, tra l’affermazione dell’autorità della gerarchia e la realtà delle pratiche di base che sono sempre più influenzate da pratiche democratiche”. 

Se si esaminano i più recenti rapporti indipendenti a livello nazionale (la Royal Commission in Australia 2017, il MHG in Germania nel 2018 e questo per la Francia) ci sono risultati simili sulle cause alla radice e raccomandazioni simili: forma di ministero ordinato, ruolo delle donne, struttura di governo, insegnamento e catechesi. A queste raccomandazioni il Vaticano e la Chiesa istituzionale più in generale non hanno ancora risposto, fatta eccezione per l’avvio del “processo sinodale 2021-2023”, che è – nonostante il suo ruolo defilato nella narrativa ufficiale del processo sinodale stesso – una risposta molto tardiva alla crisi globale degli abusi nella chiesa. Ma va ricordato il fatto che sia il “Cammino sinodale” tedesco sia il Concilio plenario in Australia sono incomprensibili se considerati al di fuori del contesto delle inchieste nazionali sulla crisi degli abusi. La teologia deve interrogarsi e interrogarsi sull’adeguatezza o meno del legame tra modelli sinodali adottati (a livello universale e locale) per il “Cammino sinodale 2021-2023” e la cataclismica crisi degli abusi, ovvero se i meccanismi di rappresentazione del popolo di Dio, incluse le vittime, e la questione abusi abbiano uno spazio adeguato in questo processo sinodale.


[1] Cfr. https://www.ciase.fr/rapport-final/.

[2] Si veda anche Massimo Faggioli, The Catholic Sexual Abuse Crisis as a Theological Crisis. Emerging Issues, in “Theological Studies” 80(3) 2019, pp. 572–589. https://doi.org/10.1177/0040563919856610; Massimo Faggioli, Mary Catherine O’Reilly-Gindhart, A New Wave in the Modern History of the Abuse Crisis in the Catholic Church: Literature Overview, 2018–2020, in “Theological Studies”, 82/1 (March 2021), pp. 156-185 DOI: 10.1177/0040563921995848. È una questione che riguarda non solo la chiesa in occidente: cfr. https://africa.la-croix.com/de-moins-en-moins-de-personnes-pensent-que-le-probleme-des-abus-sexuels-dans-leglise-nest-pas-africain/

[3] Maria Elisabetta Gandolfi, blog della rivista “Il Regno”, https://re-blog.it/2021/10/09/perche-aspettare-di-farsi-travolgere/ 9 ottobre 2021.

[4] Per la lettera pontificia, vedi https://www.vatican.va/content/francesco/it/letters/2018/documents/papa-francesco_20180820_lettera-popolo-didio.html.

[5] Cf. Clergy Sexual Abuse: Social Science Perspectives, eds. Claire M. Renzetti and Sandra Yocum (Boston: Northeastern Univ. Press, 2013).

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