S. Morra – La misericordia, (ri-)forma della chiesa

1. Recezione di Vaticano II: terza fase?

Il punto di partenza è inevitabilmente il Concilio Vaticano II, assunzione consapevole da parte della Chiesa cattolica delle questioni innescate dall’impatto problematico con la modernità: esso è diventato elemento critico, nel senso etimologico del termine. La storia della sua recezione in questi passati cinquant’anni ben lo dimostra[4] sia a livello teorico e interpretativo[5], sia a livello della vita credente[6]. Abbiamo assistito e partecipato ad una fatica di coscienza collettiva e di ricerca di linguaggio che ha portato alcuni persino ad immaginare che il Concilio non fosse la cura, per quanto drastica, ma la malattia stessa. E’ ovvio ormai che questa visione pecca di una lettura miope di troppo breve periodo e tende a immaginare un passato (quando?) mitico (una cristianità felice?) mai esistito, e si tratta di una tesi totalmente inaccettabile.

Questa ipotesi sbagliata non deve tuttavia farci negare il problema sotteso, che è invece reale: l’evidenza di una transizione di lungo periodo e di una mutazione necessaria e radicale per una forma visibile e vivibile di un cristianesimo confrontato per la prima volta nella sua storia con esperienze determinanti e inconsuete. Siamo di fronte a una reale “cattolicità” culturale, a un pluralismo geograficamente sincronico, all’autodeterminazione umana anche attraverso strumenti tecnici inimmaginabili solo pochi anni fa, alla questione ecologica, e così via.

Non si tratta solo di ammettere la fine di una forma di cristianesimo nella visione cattolica, che per brevità potremmo definire gregoriano-tridentina[7], e già non sarebbe poco; si tratta di assumere che “il giorno che è sorto” ci pone domande di fronte alle quali quasi nessuno degli strumenti e delle categorie concettuali di cui disponiamo sembra adatto, mentre alcuni di essi, addirittura, si mostrano deformanti. In più, la carenza di comprensione teorica è misurata dalla ormai quasi totale evaporazione di pratiche vitali “disinvolte” che erano in grado di sorreggere l’esistenza cristiana.

È perciò comprensibile che sia profondo, ma soprattutto “scomposto”, il senso di sperdimento e di incertezza comunicativa nell’intero popolo di Dio e specie nelle sue componenti di maggiori responsabilità, perché è posta in gioco proprio la cornice interpretativa necessaria a esprimersi e a immaginare un futuro. Ci pare che Christoph Theobald lucidamente esprima il punto a cui siamo nei confronti di Vaticano II:

La […] posta in gioco è integrare la questione classica della regolazione e della normatività al Vaticano II e del Vaticano II nella prospettiva più inglobante «di un magistero dal carattere prevalentemente pastorale», così come è stata lasciata in eredità da Giovanni XXIII al concilio. La questione può ora così precisarsi: si tratta quindi di un concilio pastorale il cui valore canonico è minore di quello dei concili «dogmatici» precedenti – è quello che i primi dibattiti sulla qualifica teologica dei suoi testi lascerebbero pensare – oppure siamo alle prese con un concilio di nuovo genere che ha inaugurato il mutamento stesso del «dogmatico» e del «dottrinale» come del tipo di normatività che essi veicolano, collocandoli all’interno stesso della relazione pastorale, essa stessa sempre segnata dal suo contesto storico?[8]

Potremmo dire che abbiamo vissuto una prima fase di recezione, caratterizzata dalla discussione sulla qualifica teologica dei testi sul piano teorico e da una sorta di effervescenza senza regole  e ingenuità di governo a livello vitale. Poi una seconda, caratterizzata dal dibattito sull’ermeneutica della continuità o della rottura sul piano teorico e dal tentativo di governare l’effervescenza intorno alle categorie di “ecclesiologia di comunione” e di “nuova evangelizzazione” a livello vitale.[9]

Siamo forse ora di fronte ad una “terza fase di recezione” possibile? Non si tratta di pura questione accademica, per la gioia dei periodizzatori ad ogni costo. Si tratta piuttosto di affrontare una nuova “frattura instauratrice”[10], propria della dinamica della tradizione cristiana che attraversando biografie e concetti cerca ancora e sempre un corpo del Cristo vivente nella storia degli uomini e delle donne.


[4] Solo per indicare un esempio, si veda, tra molti altri Christoph Theobald, La recezione del Vaticano II. 1. Tornare alla sorgente, Bologna, 2011 (orig. fr. 2009), che, non caso, si presenta “solo” come il primo volume di un’opera più ampia.

[5] Anche qui a titolo di esempio si veda il numero monografico di Recherches de Science ReligieuseLe Concile Vatican II en débat, 100/1, Janvier-Mars 2012 con contributi di Giuseppe Ruggieri, Peter Hünermann, Gilles Routhier, Christoph Theobald.

[6] Dalla crisi del Catechismo Olandese alla questione della Fraternità Sacerdotale San Pio X, ma anche alle mille vicende nelle singole chiese locali meno universalmente note, ognuno è in grado, crediamo, di immaginare gli esempi necessari.

[7] Cfr. Ghislain Lafont, Storia teologica della chiesaItinerario e forme della teologia, Cinisello Balsamo 1997, 87-115; 205-228.

[8] Christoph Theobald, L’avvenire del Concilio. Nuovi approcci al Vaticano II, Bologna, 2016 (orig. fr. 2015), 118. 

[9] Cfr. Stella Morra, Dio non si stanca. La misericordia come forma ecclesiale, Bologna, 2015, 62-63.

[10] Cfr. Michel De Certeau, Debolezza del credere. Fratture e transiti del cristianesimo, Troina, 2006, 189-206.

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