2. “Popolo di Dio”: tra obiezioni, riletture conciliari e riforme possibili 

Quando e come è avvenuta questa rimozione? Quali sono stati i motivi di sospetto e critica esplicitamente addotti per ricusare la categoria e privilegiarne altre? Chi sono stati i protagonisti di questa presa di posizione e quali strategie ermeneutiche hanno adottato? I documenti che più ampiamente dibattono sul significato e sull’uso della categoria di “popolo di Dio” vengono tutti pubblicati nella prima metà degli anni ’80, sullo spartiacque tra la prima e la seconda fase della recezione post-conciliare: l’Istruzione della Congregazione per la Dottrina della Fede Libertatis nuntius (1984), il documento della Commissione Teologica Internazionale Temi scelti di ecclesiologia(1985), la Relazione finale del Sinodo straordinario a 20 anni dalla conclusione del Vaticano II (1985)[5]. Si tratta di testi di vario tenore, che rispondono a finalità diverse e sono stati elaborati da soggetti con differenti ruoli e funzioni ecclesiali, ma sono accomunati dalle obiezioni poste all’uso della categoria di “popolo” e dalla volontà di riconsegnare la lezione ecclesiologica conciliare a partire da prospettive “altre” (chiesa mistero, sacramento, corpo di Cristo; ecclesiologia di comunione). Le implicazioni per la forma di chiesa e per la comprensione della sua missione appariranno evidenti nel corso degli anni ’90. 

Una disamina critica di questi documenti, che focalizzi le contestazioni rivolte ad alcune correnti teologiche che riconoscono nella categoria di “popolo di Dio”/”chiesa popolare” una chiave di volta imprescindibile (in particolare, le accuse di appiattimento sociologistico e di riduzione democraticista)[6] e insieme evidenzi le ragioni che vengono addotte per privilegiare altre categorie o nozioni, aiuta a riavvicinare con maggiore profondità la novità della visione ecclesiologica del Vaticano II e prospetta quegli snodi che devono essere necessariamente affrontati anche nell’attuale fase di riforma del corpo ecclesiale, a cui Evangelii gaudium chiama e orienta. 

A. I documenti: finalità e impianto interpretativo del tema “popolo/popolo di Dio”

Nel primo documento i riferimenti sono puntuali e rapidi. L’Istruzione Libertatis nuntius stigmatizza in alcune teologie della liberazione il ricorso al concetto di “chiesa del/di popolo” (Ecclesia populi), intesa nel senso di «chiesa di classe, la chiesa del popolo oppresso che occorre “coscientizzare” in vista della lotta liberatrice organizzata», e denuncia le conseguenze che ne vengono tratte per la comprensione della struttura sacramentale e gerarchica della chiesa, in particolare il pensare che «il popolo sia la sorgente dei ministeri»[7]. La critica si concentra sul presupposto della visione ecclesiologica di alcuni teologi della liberazione: l’idea marxista di “classe” e il ruolo riconosciuto al “proletariato” in ordine alla lotta rivoluzionaria, a cui corrisponde in queste teologie una comprensione di “popolo/popolare” che rimanda ad alcuni soggetti e gruppi sociali che sono parte della chiesa. A questo si obietta una visione di chiesa inclusiva, di tutti, richiamandosi al documento di Puebla e riconoscendo il valore di una opzione preferenziale per i poveri. 

Ben più ampia la trattazione del tema nel documento della Commissione Teologica Internazionale: come ricorda il Preambolo, il testo viene preparato da trenta studiosi come contributo alla preparazione del Sinodo straordinario sul Vaticano II e si propone di enucleare alcuni temi presenti nella Lumen gentium che avevano suscitato questioni e richiedevano chiarimenti e approfondimenti. Tra i «problemi ecclesiologici che dopo il Concilio sono stati particolarmente esasperati» (Introd.) il documento colloca l’uso dell’espressione popolo di Dio, che «non è in sé immediatamente chiara» e può dare luogo a false interpretazioni (II,2): «una di quelle parole a effetto, che vanno in giro con un contenuto sovente molto esagerato» (Introd.). Si richiama la centralità per il Concilio di questa espressione, «tanto che ha finito per designare l’ecclesiologia conciliare» (II,1) e si ricordano i motivi teologici e pastorali che hanno spinto i padri conciliari a preferirla ad altre espressioni (fondamento battesimale di appartenenza, natura comunitaria e storica della chiesa), come anche la sua fondamentale dimensione escatologica (X). Allo stesso tempo però, a differenza di quanto fa il Concilio, viene correlata alle altre immagini e nozioni, in particolare a quella di “mistero” e “corpo di Cristo”, con la raccomandazione di non limitarsi a una sola immagine. Con una ripresa letterale di LG 9 la trattazione si dispiega intorno all’espressione «nuovo popolo di Dio», quale cifra del “superamento” (II, 2) della nozione veterotestamentaria di “popolo di Dio”[8], per esprimere il riferimento costitutivo al mistero trinitario. Quando è così intesa e se «adoperata unitamente ad altre denominazioni» (III,1), l’espressione permette di coniugare il carattere di mistero e di soggetto storico della chiesa; i tratti di relatività e di incompiutezza qualificano tale soggetto storico e permettono di comprendere la relazione della chiesa con il cammino dell’umanità e dei popoli. Due ulteriori riferimenti vengono dalla trattazione dedicata alla inculturazione (IV,1-2) e alla strutturazione delle relazioni intraecclesiali tra ministri e laici (VI, 1: «la comunione che definisce il nuovo popolo di Dio è una comunione sciale gerarchicamente ordinata»; VII, 3). L’espressione «nuovo popolo di Dio» rimane ancora portante nella trama del documento, ma comincia ad affiorare una centralità riconosciuta alla nozione di “sacramento” a cui si possono avvicinare le immagini di “corpo di Cristo” e “Sposa”, «come anche la formula di “nuovo popolo di Dio” quale si rifrange nei suoi inscindibili orientamenti di mistero e soggetto storico» (VIII, 2); ad essa si riconosce la virtualità di attestare con chiarezza il vincolo a Cristo e di esprimerla realtà insieme umana e divina della chiesa (VIII, 2.1). 

In questa direzione andrà la Relatio finalis del Sinodo del 1985. La scelta è quella di utilizzare diverse immagini complementari per esprimere il mistero della chiesa: “popolo di Dio” diventa uno dei concetti, accanto agli altri, perdendo così la centralità singolare che il Concilio aveva riconosciuto quale “descrizione” portante del soggetto ecclesiale, della sua identità, forma, missione, sul fondamento del recupero della prospettiva storico-salvifica biblica e della tradizione patristica e liturgica dei primi secoli. La chiave di volta, l’idea centrale e fondamentale dei documenti del Concilio, viene ora individuata nella “ecclesiologia di comunione”, di evidente rilievo per l’autocoscienza della chiesa neotestamentaria e ricca di feconde implicazioni per il dialogo ecumenico. 

B. Il cambiamento di prospettiva e i suoi protagonisti 

Tanto il documento della Commissione Teologica Internazionale del 1985, che il documento finale del Sinodo mostrano preoccupazione davanti ad alcuni abusi, unilateralismi, parzialità nella riflessione ecclesiologica e nella prassi ecclesiale postconciliare: essi vengono ricondotti a una errata, falsa, parziale comprensione della categoria di “popolo di Dio”, soprattutto nell’uso che di essa è stato fatto in alcune correnti teologiche latinoamericane e nord-europee. «La nozione è stata vittima di un fuoco incrociato di interpretazioni equivoche e di relativizzazioni squalificanti»[9]. Se è vero che talora è stata poco approfondita da alcuni teologi della liberazione la correlazione tra prassi di liberazione dei poveri, lotta di classe e vita del popolo di Dio e limitatamente sono stati definiti i criteri di recezione dell’analisi marxista della realtà sociale, economica e politica, non si può sottovalutare l’impatto che su questi documenti e sulla successiva elaborazione di documenti magisteriali ha avuto la elaborazione teologica di Joseph Ratzinger su questo tema. Nel 1978, nella presentazione all’edizione italiana della sua tesi di dottorato Popolo e casa di Dio in s. Agostino, J. Ratzinger scriveva: «nella pubblicistica conciliare la nuova strutturazione del testo [di Lumen gentium], fomatasi con l’incorporazione del secondo capitoli, apparve quasi come una completa disdetta del concetto di corpo di Cristo e quindi come il passaggio a una concezione ecclesiale non più cristologica ma ampiamente sociologica»[10]. Tra le critiche alla recezione del Vaticano II, nel Rapporto sulla fede, le cui anticipazioni avevano di poco preceduto la celebrazione del Sinodo straordinario, poneva «le esagerazioni di una apertura indiscriminata al mondo». Successivamente denuncerà le metamorfosi, le indebite riduzioni sociologistiche del termine “popolo” e le traslazioni di significato alla “classe sociale del proletariato” per una acritica recezione del pensiero marxista; lamenterà la carenza di un riferimento costitutivo alla cristologia[11]: non nega la centralità della categoria per la visione conciliare, ma ritiene che sia subentrata una banalizzazione del concetto nel momento in cui si sono separate le due immagini di “popolo di Dio” e “corpo di Cristo”[12]. Si può comprendere quindi la preferenza da lui accordata all’espressione “nuovo popolo di Dio” e la comprensione della chiesa, come «popolo di Dio nella misura in cui esiste come corpo di Cristo», in cui il primo termine (popolo) è compreso e definito a partire dal secondo. 

Così pure non si può dimenticare quanto abbia influito Walter Kasper nell’affermarsi di una nuova ermeneutica degli scritti conciliari da segretario speciale del Sinodo del 1985[13]. Nella idea della “communio” egli riconosce una prospettiva unitaria e unificante, capace di tenere insieme e di decrittare insieme aspetti differenti del Noi ecclesiale, tra piano misterico e dato empirico: la chiesa-comunione viene rinviata alla sua radicazione teologica (comunione del Dio trinitario) e alla sua dimensione escatologica (comunione del Regno di Dio), mostrata nelle sue dinamiche relazionali interne (quale communio hierarchica), fatta discendere dalle sue “fonti” la parola di Dio e i sacramenti. D’altra parte in questa visione comunionale, che pur esprime l’essenza ecclesiale, non si comprende immediatamente il modello ecclesiale di riferimento e quali siano le forme concrete in cui tale koinonia si incarna: non vengono di per sé, infatti, chiariti né chi siano i soggetti implicati (singoli, chiese locali?), né il principio che ne garantisce l’esistenza (l’annuncio, l’eucaristia, il ministero?).


Notes

[5] Può essere utile anche riferirsi alla Notificazione della Congregazione per la dottrina della fede a Leonardo Boff, in merito a Chiesa: carisma e potere (12 febbraio 1982), in AAS 77 (1985), 756-762. Le riserve sollevate sul modo di affrontare la struttura della chiesa, il rapporto tra rivelazione e dogma, l’esercizio del potere e la comprensione del ministero ordinato, il munus profetico del popolo di Dio rimandano a snodi centrali per la comprensione dell’espressione “popolo di Dio”.

[6] La denuncia di una visione che indulge a «un democraticismo e a un sociologismo che non rispecchiano la visione cattolica della chiesa e l’autentico spirito del Vaticano II» ritorna anche in Giovanni Paolo II, Tertio millennio adveniente, 36, in EV 1/1780. 

[7] Libertatis nuntius, IX. 11 e 13. 

[8] Non si può tacere il limite di questa ambigua espressione, che rischia permanentemente di avallare “teorie della sostituzione” della chiesa a Israele. 

[9] C.M. Galli, Il ritorno del popolo di Dio, in Il Regno-attualità 5/2015, 296.

[10] J. Ratzinger, Popolo e casa di Dio in s. Agostino, Jaca Book, Milano 20052, XV.

[11] Cf. il saggio del 1956 Sull’origine e l’essenza della chiesa e Il concetto di chiesa e il problema dell’appartenenza alla chiesa, ora in Il nuovo popolo di Dio. Questioni ecclesiologiche, Queriniana, Brescia 1971 [or. 1969], rispettivamente alle pp. 83-98 e 99-114. Sull’ecclesiologia di Ratzinger, cf. Martuccelli P., Origine e natura della chiesa. La prospettiva storico-dommatica di J. Ratzinger, Lang, Frankfurt a.M.  2001.

[12] J. Ratzinger, Chiesa ecumenismo e politica. Nuovi saggi di ecclesiologia, S. Paolo, Cinisello B. 1987; Id., L’ecclesiologia della Costituzione Lumen gentium, in Il Concilio Vaticano II. Recezione e attualità, S. Paolo, Milano 2001.

[13] Cf. W. Kasper (ed.), Il futuro dalla forza del concilio. Sinodo straordinario dei vescovi 1985. Documenti e commento, Queriniana, Brescia 1986. 

Leave a Reply