Paolo Benanti

« Intelligenze artificiali, robots, bio-ingegneria e cyborgs: nuove sfide teologiche? »

Linda Hogan, João J. Vila Chã, Michelle Becka

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Concilium 2019-3. Technology: between Apocalypse and Integration
Concilium 2019-3. Tecnología?
Concilium 2019-3. Tecnologia: tra apocalisse e integrazione
Concilium 2019-3. Technologie: entre apocalypse et intégration
Concilium 2019-3. Tecnologia: entre o apocalipse e a integração


L’evoluzione del computer e la diffusione dell’informatica ha influenzato profondamente tutto il mondo della tecnologia trasformando il nostro modo di progettare, produrre e utilizzare gli artefatti tecnologici. All’inizio, negli anni Cinquanta del secolo scorso, sembrava uno strumento riservato alle grandi organizzazioni e amministrazioni, alla ricerca scientifica e ai comandi militari. La tecnologia dei microprocessori a partire dagli anni Settanta, il costante sviluppo di software facili da usare e, negli anni Novanta, la rapida espansione della rete hanno invece trasformato il computer in una macchina accessibile a tutti, proprio come un qualsiasi altro elettrodomestico. Per comprendere questo cambiamento bisogna soffermarci sulla caratteristica principale di questa nuova forma di comunicazione: il digitale.

In informatica ed elettronica con digitale ci si riferisce al fatto che tutte le informazioni vengono rappresentate con numeri o che si opera su queste manipolando numeri (il termine deriva dall’inglese digit, che significa cifra). Un determinato insieme di informazioni viene rappresentato in forma digitale cioè come sequenza di numeri presi da un insieme di valori discreti, ovvero appartenenti a uno stesso insieme ben definito e circoscritto. Attualmente digitale può essere considerato come sinonimo di numerico, e si contrappone invece alla forma di rappresentazione dell’informazione detta analogica. L’informazione, la sua espressione digitale e gli artefatti che da questa ne deriva ci permettono di realizzare artefatti e biotecnologie impensabili fino a pochi decenni fa.

Guardando alle grandi trasformazioni che questa nuova stagione tecnologica sta producendo vogliamo chiederci se questi nuovi artefatti siano semplicemente strumenti o non siano anche dei “luoghi” del nostro vivere che chiedono una riflessione antropologica e teologica. La gestione dell’innovazione è solamente una questione ingegneristica che al più interroga l’etica professionale o invece il mondo delle (bio)tecnologie interroga anche la teologia?

Per fare questo dapprima introdurremmo alcuni nuovi artefatti che sembrano mostrarsi come elementi chiave di queste trasformazioni e in un secondo momento cercheremo di far emergere alcune domande o questioni che la realizzazione di queste tecnologie fa sorgere alla riflessione filosofica e teologica.

1. Nuovi artefatti

1.1. Machina sapiens?

L’evoluzione tecnologica dell’informazione e del mondo compreso come una serie di dati si concretizza nelle intelligenze artificiali (AI) e nei robot: siamo in grado di costruire macchine che possono prendere decisioni autonome e coesistere con l’uomo. Si pensi alle macchine a guida autonoma che Uber, il noto servizio di trasporto automobilistico privato, già utilizza in alcune città come Pittsburgh, o a sistemi di radio chirurgia come il Cyberknife o i robot destinati al lavoro affianco all’uomo nei processi produttivi in fabbrica. Le AI, queste nuove tecnologie, sono pervasive. Stanno insinuandosi in ogni ambito della nostra esistenza. Tanto nei sistemi di produzione, incarnandosi in robot, quanto nei sistemi di gestione sostituendo i server degli analisti. Ma anche nella vita quotidiana i sistemi di AI sono sempre più pervasivi. Gli smartphone di ultima generazione sono tutti venduti con un assistente dotato di intelligenza artificiale, CortanaSiri o Google Hello – per citare solo i principali –, che trasforma il telefono da un hub di servizi e applicazioni a un vero e proprio partner che interagisce in maniera cognitiva con l’utente. Sono in fase di sviluppo sistemi di intelligenza artificiale, i bot, che saranno disponibili come partner virtuali da interrogare via voce o in chat che sono in grado di fornire servizi e prestazioni che primano erano esclusiva di particolari professioni: avvocati, medici e psicologi sono sempre più efficientemente sostituibili da bot dotati intelligenza artificiale.

Il mondo del lavoro conosce oggi una nova frontiera: le interazioni e la coesistenza tra uomini e intelligenze artificiali. Prima di addentrarci ulteriormente nel significato di questa trasformazione dobbiamo considerare un implicito culturale che rischia di sviare la nostra comprensione del tema. Nello sviluppo delle intelligenze artificiali (AI) la divulgazione dei successi ottenuti da queste macchine è sempre stata presentata secondo un modello competitivo rispetto all’uomo. Per fare un esempio IBM ha presentato Deep Blue come l’intelligenza artificiale che nel 1996 riuscì a sconfiggere a scacchi il campione del mondo in carica, Garry Kasparov e sempre IBM nel 2011 ha realizzato Watson che ha sconfitto i campioni di un noto gioco televisivo sulla cultura generale Jeopardy!. Queste comparse mediatiche delle AI potrebbero farci pensare che questi sono sistemi che competono con l’uomo e che tra Homo sapiens e questa nuova macchina sapiens si sia instaurata una rivalità di natura evolutiva che vedrà un solo vincitore e condannerà lo sconfitto a una inesorabile estinzione. In realtà queste macchine non sono mai state costruite per competere con l’uomo ma per realizzare una nuova simbiosi tra l’uomo e i suoi artefatti: (homo+machinasapiens[1]. Non sono le AI la minaccia di estinzione dell’uomo anche se la tecnologia può essere pericolosa per la nostra sopravvivenza come specie: l’uomo ha già rischiato di estinguersi perché battuto da una macchina molto stupida come la bomba atomica. Tuttavia esistono sfide estremamente delicate nella società contemporanea in cui la variabile più importante non è l’intelligenza ma il poco tempo a disposizione per decidere e le macchine cognitive trovano qui grande interesse applicativo. 

Si aprono a questo livello tutta una serie di problematiche etiche su come validare la cognizione della macchina alla luce proprio della velocità della risposta che si cerca di implementare e ottenere. Tuttavia il pericolo maggiore non viene dalle AI in se stesse ma dal non conoscere queste tecnologie e dal lasciare decidere sul loro impiego a una classe dirigente assolutamente non preparata a gestire il tema.

1.2. Vita sintetica?

Più di duecento giornalisti il 5 agosto 2013 hanno affollato i Riverside Studios di Londra non per il lancio di un nuovo telefonino o di un altro apparecchio elettronico bensì di un panino: un hamburger, per la precisione, che però era non meno stupefacente di un computer da un punto di vista tecnologico. 

Il panino in questione era una creazione del professor Mark Post, un docente di biotecnologia dell’università di Maastricht, che ha realizzato il piatto utilizzando carne sintetica (o carne artificiale o carne in vitro). La carne, cucinata dal cuoco Richard McGeown del Couch’s Great House Restaurant di Polperro, in Cornovaglia, venne assaggiata dal critico culinario Hanni Ruetzler, studioso di alimentazione del Future Food Studio, e da Josh Schonwald[2].

Cerchiamo a capire la natura di questo prodotto innaturale. La squadra di biotecnologi olandesi aveva realizzato un prodotto di carne animale che non era mai stato parte di un animale vivo. In realtà questa affermazione, volutamente provocatoria, era vera se si esclude il siero fetale di un vitello utilizzato come base biologica. Il siero fetale bovino, indicato con la sigla FBS o FCS dall’inglese Fetal Calf Serum, è un liquido costituito dalla frazione del plasma sanguigno che rimane dopo la coagulazione del sangue, cioè utilizzando i termini tecnici propri, dalla conversione di fibrinogeno in fibrina. Il siero fetale bovino è di fatto un prodotto secondario dell’industria della carne, ottenuto dal sangue che viene raccolto dal feto di bovine gravide durante il processo di macellazione tramite un sistema chiuso di collettori che ne garantiscono la sterilità. L’equipe olandese è ricorsa al FBS perché questo è considerato uno strumento standard per il mantenimento di linee cellulari in vitro: il FBS contiene proteine plasmatiche, fattori di crescita, fattori di adesione, sali minerali, chelanti, vitamine, elettroliti e altre sostanze che favoriscono la sopravvivenza e la proliferazione di cellule mantenute in coltura. Il tessuto per la dimostrazione era il risultato di un processo di coltura in vitro condotto a maggio 2013, utilizzando almeno 20.000 strisce sottili di tessuto muscolare prodotto in laboratorio e fatte moltiplicare in un bioreattore. Il team olandese spiegò che una volta innescato il processo, teoricamente è possibile continuare a produrre carne all’infinito senza aggiungere nuove cellule da un organismo vivente. Si è stimato che, in condizioni ideali, due mesi di produzione di carne in vitro potrebbero generare 50.000 tonnellate di carne da dieci cellule muscolari di maiale.

Nel corso della presentazione alla stampa i due assaggiatori raccontarono che, a parte l’essere un po’ meno saporito di un tradizionale hamburger – cosa peraltro incidentale e superabile –, il prodotto artificiale era in tutto e per tutto uguale agli hamburger tradizionali. La stampa rispose dando enorme rilievo al fatto e coniò una serie di epiteti per questo nuovo hamburger: in provetta, di laboratorio, coltivato, in vitro, prova di principio, senza crudeltà e persino il fantasioso Frankenburger[3].

La produzione dell’hamburger di Post era costata 331.400 dollari, cifra raggiunta grazie a una donazione anonima di circa 250.000 euro. In seguito si è risaliti al donatore, Sergey Brin, uno dei due fondatori del colosso informatico Google. 

La realizzazione di questo alimento in laboratorio ha rafforzato il dibattito che diversi accademici stanno portando avanti sulla natura della tecnologia e sul suo significato per l’esistenza umana[4]. Una prima domanda a cui sembra necessario rispondere è se la carne in questione sia da considerarsi viva o morta: il tessuto di cui è composto l’hamburger cresce e si moltiplica ma non sembra avere le caratteristiche fondamentali per definirlo come vivo[5]. Infatti sebbene le cellule crescano e si moltiplichino secondo dei sub-processi che appartengono anche ai viventi, tuttavia le strisce di tessuto non godono di quelle caratteristiche come l’irritabilità e l’assimilazione che ci aiutano a distinguere le dinamiche di un vivente da quelle di un essere inanimato. La carne dell’IVM nel bioreattore accresce ma non si riproduce o gode di quella natura finalistica che caratterizza i viventi.

1.3. Superumani?

In questi anni molte malattie neuropsichiatriche hanno trovato beneficio dalla psicofarmacologia: un settore della farmaceutica che studia l’effetto dei farmaci sul comportamento e sulle funzioni psichiche superiori permettendo di creare nuovi farmaci utili in vari disturbi psichiatrici, sia nella cura dei sintomi che nel trattamento delle cause dei disturbi stessi, in particolare per quanto riguarda le disfunzioni dei neurotrasmettori[6]. Dal punto di vista della prassi medica, la consapevolezza che numerosi disturbi si verificano alterando uno spettro che comprende livelli di funzionamento della persona ritenuti normali, ha sollevato una questione che ha aperto la strada all’idea di enhancement: se i farmaci possono, ad esempio, migliorare la cognizione nelle persone con deficit cognitivo, che cosa possono fare per le persone in normale condizione di salute?

La possibilità di intervenire sulla cosiddetta normalità per ottenere l’enhancement si fonda sulla convinzione, almeno implicita, che se la pienezza (salute) è divenuta ormai solo normalità, l’uomo necessita di strumenti esterni per raggiungere una pienezza di felicità e realizzazione che da sola non può garantire. Il miglioramento cognitivo è, nella sua radice antropologica più profonda, un tentativo di conquistare questa pienezza di vita perduta nel vivere dei nostri contemporanei.

Due sistemi cognitivi principali sono stati presi di mira dagli scienziati, negli ultimi anni, per ottenere il miglioramento farmacologico: l’attenzione e la memoria[7]. Per fare qualche esempio basti pensare che farmaci stimolanti come il metilfenidato (MPH), commercialmente conosciuto come Ritalin, e le anfetamine, commercializzate in composti con le destroanfetamine con il nome di Adderall, sono capaci di migliorare l’attenzione delle persone con sindrome da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) ma possono anche migliorare l’attenzione in persone sane. Anche se questi farmaci sono apparentemente prescritti principalmente per il trattamento dell’ADHD, i dati di vendita indicano che essi non sono raramente utilizzati per l’enhancement cognitivo. Sondaggi nei campus universitari confermano questa conclusione. Stimolanti, soggetti a prescrizione medica, sono attualmente ampiamente utilizzati da studenti universitari, molti dei quali li ottengono da amici o da spacciatori come sostanze per l’aiuto allo studio[8].

Inoltre ultimamente viene rivolto un enorme sforzo di ricerca per lo sviluppo di farmaci per stimolare la memoria. I farmaci in oggetto hanno come obiettivo svariati stadi all’interno di quella cascata molecolare che sottende, nel cervello, alla formazione della memoria, compresa l’induzione iniziale di un potenziamento a lungo termine e le fasi successive di consolidamento della memoria. Anche se queste ricerche sono finalizzate, ufficialmente, a trovare cure per la demenza, non vi è ragione di credere che alcuni dei prodotti in fase di sviluppo potrebbe migliorare la memoria normale e, in particolare potrebbero trovare utilizzo dopo la mezza età e negli anziani, quando un certo grado di aumento della perdita di memoria è normale[9]. Di contro la possibilità di indebolire i ricordi indesiderati è un altro tipo di trattamento della memoria, in fase di sviluppo, per una serie di sindromi come il disordine post-traumatico da stress (PTSD) che possono contribuire all’enhancement in individui sani: teoricamente potrebbe essere usato come prevenzione psicologica, per esempio, per permettere ai soldati di andare in battaglia o ai soccorritori di operare in una situazione di emergenza senza effetti collaterali sul loro sistema nervoso[10].

2. Inedite sfide

2.1. Una nuova realtà?

La prima serie di questioni[11] che sorgono da questi nuovi artefatti e che interrogano tanto la filosofia che la teologia riguardano la realtà, la sua conoscenza e la differenza tra naturale e artificiale. 

Da quando non solo abbiamo imparato a vedere la realtà come un insieme di dati ma abbiamo anche imparato a collezionarli, i big data, ci siamo dotati di un nuovo strumento di indagine. Tre secoli fa con le lenti concave abbiamo realizzato il telescopio e il microscopio, imparando a vedere il mondo in modo diverso. Microscopio e telescopio costituirono gli strumenti tecnologici con cui la rivoluzione scientifica del 600 e del 700 ha ottenuto le sue scoperte. Abbiamo reso visibile l’estremamente lontano, telescopio − e l’estremamente piccolo, microscopio. Oggi con i dati abbiamo realizzato un nuovo “strumento” il macroscopio. Con i big data noi riusciamo a vedere in maniera nuova e sorprendente l’estremamente complesso delle relazioni sociali individuando relazioni e connessioni dove prima non vedevamo nulla. Le intelligenze artificiali applicati a questi enormi set di dati sono il macroscopio con cui studiare meccanicisticamente l’estremamente complesso. Spetta a noi capire che tipo di conoscenza stiamo generando. Se questa forma di conoscenza sia scientifica e in che senso sia deterministica o predittiva è tutto da capire. Tuttavia la rivoluzione conoscitiva, come con il telescopio e il microscopio, è già in atto. Assistiamo al sorgere di nuove sfide: la sfida di cominciare a concepire l’uomo come animale informazionale al fianco di altri, inserito all’interno dell’infosfera; la sfida di farsi carico di una nuova società, la società dell’informazione, cresciuta molto più rapidamente della capacità dell’uomo di sviluppare solide radici concettuali, etiche e culturali in grado di comprenderla, gestirla e orientarla verso il bene comune e lo sviluppo.

In altri termini appare urgente trovare risposte su cosa sia l’informazione, sulla sua natura multiforme, sui ruoli che gioca in diversi contesti scientifici e sulle questioni sociali ed etiche sollevate dalla sua crescente importanza. Nella nostra società l’informazione si manifesta sotto più forme e possiede molti significati. Questo è il motivo per cui oggi molto studiosi trovano assai difficile riconoscere un punto di partenza univoco e incontroverso, infatti sono stati suggeriti vari significati della parola informazione da autori differenti nell’ambito generale della teoria dell’informazione ma è difficile trovare un concetto unico di informazione che renda conto in modo soddisfacente delle sue numerose possibili applicazioni cui oggi ci riferiamo. 

Dobbiamo riconoscere che da un punto di vista concettuale l’analisi del concetto di informazione versa ancora in quello stadio deplorevole in cui il disaccordo investe il modo stesso in cui i problemi sono provvisoriamente formulati e contestualizzati entro le rispettive cornici teoriche. La novità che rappresenta il concetto di informazione nella comprensione che l’uomo ha di se stesso e del mondo è così espressa da Floridi:

non vi è un termine per indicare questa nuova forma radicale di costruzione, cosicché possiamo usare il neologismo riontologizzare per fare riferimento al fatto che tale forma non si limita solamente a configurare, costruire o strutturare un sistema (come una società, un’auto o un artefatto) in modo nuovo, ma fondamentalmente comporta la trasformazione della sua natura intrinseca, vale a dire della sua ontologia. In tal senso, le ICT non stanno soltanto ricostruendo il nostro mondo: lo stanno riontologizzando[12]

Tale passaggio sta a significare che oggetti e processi perdono la propria connotazione fisica nel senso che sono considerati come indipendenti dal proprio supporto − si pensi a un file musicale in formato mp3 che è diventato nel nostro modo di comprendere in toto la musica[13]. Gli oggetti sono tipizzati, nel senso che l’esemplare di un oggetto − la mia copia di un file musicale per rimanere nell’esempio introdotto pocanzi ­− conta quanto il suo tipo − il file musicale in possesso di un terzo di cui la mia copia è un esemplare. Infine il criterio di esistenza, cioè il criterio che cerca di definire che cosa significhi esistere per qualcosa, non è più l’essere immutabile nella propria realtà, come il pensiero greco ci aveva indotto a comprendere, secondo cui solo ciò che non muta ha piena esistenza, o l’essere potenzialmente oggetto di percezione, seguendo una certa filosofia moderna che ha insistito sull’idea che qualcosa, per qualificarsi come esistente, debba essere empiricamente percepibile dai sensi, ma l’essere potenzialmente soggetto a interazione, seppure intangibile: essere è essere interagibile, anche se l’interazione è solo indiretta.

Lo sviluppo delle biotecnologie, che iniziano a capire la vita stessa come un processo informazionale espresso dal DNA, mettono in crisi il significato stesso di una distinzione tradizionale con cui comprendevamo la realtà: quella tra naturale ed artificiale.  I prodigi della biologia sintetica sembrano far emergere l’incertezza, se non addirittura l’impossibilità, di definire un qualsivoglia limite. I confini tra naturale e artificiale stanno sfumando, rendendosi indistinguibili. L’avvento del cyborg, cioè la fusione tra uomo e macchina, la nascita della biologia sintetica e lo sviluppo della carne in provetta mostrano come tutto sia divenuto manipolabile e dominabile: gli artefatti che produciamo non sono meramente artificiali, né sono naturali.

Si pensi al diamante sintetico, indistinguibile da un diamante vero se non per due dettagli: possiede per legge un numero seriale al proprio interno, inciso al laser e non visibile a occhio nudo, ed è privo di qualsiasi imperfezione. Sorge un interrogativo ineludibile per la filosofia, per le scienze umane e per la teologia: ci stiamo avviando verso una realtà in cui la distinzione tra naturale e artificiale è destinata a scomparire? Se è così, quali saranno le conseguenze di questa nuova comprensione della realtà? E quali prospettive si apriranno? 

2.2. Una nuova umanità?

I profondi cambiamenti indotti dall’irruzione dell’informazione e dagli artefatti biotecnologici suscita nuove domande sull’uomo e sulla sua identità: la questione antropologica diventa un luogo chiave dove la filosofia e la teologia si devono confrontare con nuove visioni e inedite sfide. Le nuove frontiere proposte dalla medicina e dalla sua traduzione biotecnologica si inseriscono in un clima culturale particolarmente fertile e desideroso di questo tipo di manipolazioni. Fin dalla fine dello scorso secolo si è infatti generata una corrente di pensiero favorevole alla vita umana tecnologicamente modificata: la filosofia post-umana trans-umana.

La visione dell’uomo come di un essere malleabile è uno dei principali cardini del pensiero post-umano trans-umano. Tutta una serie di aspetti che contribuiscono a creare della nostra vita un qualcosa di mai completamente definito e comunque suscettibile di innumerevoli trasformazioni, cioè che fanno della nostra esistenza una vita liquida[14], hanno una forte attinenza con queste modalità di comprendere l’uomo ponendo particolare attenzione al fatto che proprio il corpo umano sia dotato di una certa malleabilità[15]. La costituzione biologica del nostro corpo non solo si evolve ma può essere modificata. I fautori dell’enhancement umano sottolineano come già numerose prassi comunemente accettate e diffuse nell’ambito medico siano di fatto enhancements: i vaccini, a loro dire, sono l’esempio lampante che gli enhancements sono da sempre accettati e utilizzati all’interno dalla nostra società[16].

Poiché l’uomo e l’universo sono caratterizzati, per i postumanisti transumanisti, da una totale malleabilità, la capacità di controllo si costituisce come la prerogativa indispensabile per garantire alla nostra specie la capacità di sopravvivere. 

Il valore dell’umano non è più la persona ma le informazioni che abitano il suo corpo biologico: ogni uomo è visto come un insieme di informazioni contenute in un medium che è il suo corpo. Il valore dell’uomo è espresso in termini di informazioni e la sua essenza diviene un qualcosa di computabile e gestibile come un flusso di informazioni. La vita stessa diviene la capacità di conservare ed elaborare informazioni. La malleabilità dell’uomo si trasforma, quindi, in una sostanziale svalutazione del corpo e della corporeità visti come accidens dell’esistenza. 

Cosa ci renda unici come uomini, come dire, oggi, la dignità dell’essere umano, quale è il valore della corporeità sono tutte domande che chiedono di essere affrontate con nuove modalità: le verità di fede devono poter illuminare anche le sfide che i nuovi artefatti pongono al nostro comprendere e comprenderci.

Se questa riduzione della persona umana all’informazione è di fatto una nuova forma di dualismo, tra informazione e il medium che la trasmette, che può essere fronteggiato solo con una comprensione antropologicamente corretta del corpo e della corporeità umana. Il discernimento etico sull’enhancement cognitivo potrà prendere il via solo da un confronto antropologico che ponga le parti in causa in grado di cogliere il valore del corpo e della corporeità per l’esistenza umana. In questo confronto la tecnologia per l’enhancement cognitivo, quindi, non può essere proposta come un elemento antropologicamente neutro, cioè come un qualcosa che si ponga a valle delle discussioni antropologiche ma deve essere recuperata in tutta la sua valenza e complessità sapendo che mediante la tecnica-tecnologia non si può

penetrare il mistero dell’uomo, ma solamente indagare diffusamente sul “fenomeno” uomo nel mondo. La riflessione teologica può al contrario aprire l’uomo al suo oltre e vedere in Gesù di Nazareth l’uomo esemplare, l’unico che può svelare l’uomo all’uomo. Egli è infatti l’ultimo uomo, l’eschaton Adám, in quanto introduce l’uomo nel suo futuro[17].

L’essere umano è dotato di un telos, è orientato a un oltre che supera il tempo e lo spazio: la teologia ricorda all’uomo questa sua chiamata escatologica. Nel confronto con il pensiero post-umano trans-umano bisogna saper decodificare quelle istanze che trasformano l’enhancement cognitivo in una sorta di escatologia impropria: bisogna fronteggiare e negare quella deriva immanentista che strappa l’uomo dal suo avvenire, cioè dalla vita eterna escatologica, per relegarlo in un sogno, anzi in una illusione, di immortalità tecnologicamente realizzata.

Uno sguardo conclusivo

Alla luce di quanto emerso appare evidente come il fenomeno tecnologico sia anzitutto un “luogo” filosofico e teologico che interroga la nostra comprensione del mondo e dell’umano. Per comprendere la tecnologia bisogna partire dalla consapevolezza di una singolarità che si manifesta parlando della nostra specie: siamo, in quanto appartenenti alla specie Homo sapiens, esseri simbolici, dotati di linguaggio duttile e flessibile. Questa caratteristica ci ha permesso di avere la capacità senza precedenti di cooperare tra grandi numeri di individui. Siamo così in grado di evidenziare una caratteristica peculiare e irriducibile che distacca l’uomo da ogni altra specie esistente. Grazie a questa condizione cognitiva l’uomo può rivedere e modificare il proprio comportamento con rapidità, conformandosi al mutare delle necessità. Quello che ad oggi siamo in grado di stabilire come accaduto è che una speciale forma di evoluzione caratterizza la specie umana di fronte ad ogni altra specie esistente: l’evoluzione culturale soppianta la lenta e imprevedibile evoluzione genetica. Grazie a questa caratteristica la nostra specie ha iniziato un cammino che mostra nei segni archeologici della storia una distanza sempre più marcata da tutte le altre specie. 

Non vogliamo lasciar intendere che parlando di condizione cognitiva la costituzione biologica dell’uomo sia divenuta ininfluente; ma dobbiamo riconoscere che solo per l’uomo si può parlare di un qualcosa che trascende significativamente il mero dato biologico e genetico. Possiamo sintetizzare il rapporto che c’è tra biologia e cultura notando che per l’uomo la biologia stabilisce i parametri basilari per il comportamento, e per le sue capacità e l’intera storia umana ha luogo entro i confini di tale arena biologica. Tuttavia è innegabile come questo scenario sia straordinariamente ampio, consentendoci di mutare comportamento e capacità sociali così da adattarci a tutti i climi della terra e a costruire vasti gruppi sociali che sono impensabili per ogni altra specie. 

All’interno di questa unica condizione cognitiva che consente alla nostra specie di interagire con la realtà in maniera unica – una modalità costituita da linguaggio e cultura – l’uomo si specializza e dà alle sue azioni delle finalità particolari. L’uomo si relaziona al mondo mediante delle creazioni delle sue mani: gli artefatti.  L’artefatto tecnologico, l’elemento base della tecnologia, è coesistente all’uomo ed è traccia della sua unica condizione esistenziale: la condizione umana, possiamo dire, è una condizione tecno-umana

Alla luce di queste evidenze, allora, sembra delinearsi, per poter vivere le sfide che la tecnologia ci pone, la necessità di guardare alla tecnologia non solo come strumento ma anche come “luogo” teologico. Per vivere l’oggi siamo chiamati a ridire le verità di fede in modo che possano illuminare e dare senso ai “nuovi artefatti” e alle sfide che questi presentano. Siamo chiamati a pensare teologicamente la tecnologia anche per poter approfondire il mistero di Dio e la vocazione dell’uomo. Inoltre lo sviluppo tecnologico, giunto a queste inedite frontiere, necessita mai come oggi di confronti e contributi interdisciplinari, compresi fra questi quelli teologici, per poter trovare fini adeguati agli innumerevoli mezzi di cui dispone.


Notes

[1] Cf. J. E. Kelly – S. Hamm, Macchine intelligenti. Watson e l’era del cognitive computing, Egea, Milano 2016, 5-42.

[2] Cf. W. Galusky, «Technology as Responsibility: Failure, Food Animals, and Lab-grown Meat», Journal of Agricultural & Environmental Ethics27, 6 (2014), 931–948.

[3] Cf. L. Petetin, «Frankenburgers, Risks and Approval», European Journal of Risk Regulation 5, 2(2014), 168–186.

[4] Cf. P. Benanti, La condizione tecno-umana. Domande di senso nell’era della tecnologia, Bologna, EDB, 2016.

[5] Cf. P. Benanti, Ti esti? Prima lezione di bioetica, Assisi, Cittadella, 2016.

[6] In medicina con la definizione di psicofarmaci si identificano tutti quei farmaci che agiscono sul sistema nervoso centrale. Si possono classificare in base al tipo di molecole (classi farmaceutiche) o all’effetto terapeutico. Fra essi i più utilizzati sono: gli ansiolitici, gli antidepressivi e i neurolettici (o antipsicotici); che a loro volta includono molecole appartenenti a classi diverse. A questi possiamo aggiungere i sali di litio e gli antiepilettici usati come stabilizzatori dell’umore e gli psicofarmaci ipnotici.

[7] Per un’approfondita disanima dello sviluppo dell’idea di enhancement si veda: P. Benanti, The Cyborg. Corpo e corporeità nell’epoca del postumano, Assisi, Cittadella, 2012, 81-142 e Neuropharmacology 64(2013), 1-596 (un volume monografico della prestigiosa rivista interamente dedicato al miglioramento cognitivo).

[8] Cf. C.I. Ragan, I. Bard, I. Singh, “What Should We Do about Student Use of Cognitive Enhancers? An Analysis of Current Evidence” in Neuropharmacology 64(2013), 588-596.

[9] Si assiste oggi, per la prima volta, allo sviluppo di farmaci direttamente per l’ehancement. È questo il caso, per esempio, del MEM 1003 e del MEM 1414 dei preparati farmaceutici attualmente sotto esame finale da parte della Food and Drug Administration, l’ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici. Queste sostanze sono state sintetizzate e studiate per effettuare l’enhancement della memoria umana e dai primi test sembrano garantire risultati sorprendenti e se la Food and Drug Administration darà parere favorevole verranno commercializzati in brevissimo tempo. Tuttavia il MEM 1003 e il MEM 1414 non si stanno rivelando efficaci solo per migliorare la memoria umana, rendendola pressoché indefettibile, ma riescono a sopprimere uno dei sintomi peggiori del morbo di Alzheimer: la perdita della memoria causata da questa forma di demenza degenerativa invalidante (cf. O. Lev, F.G. Miller, E.J. Emanuel, “The Ethics of Research on Enhancement Interventions”, in Kennedy Institute of Ethics Journal 20(2010), 101-114).

[10] Cf. R.M. de Bitencourt, F.A. Pamplona, R.N. Takahashi, “A Current Overview of Cannabinoids and Glucocorticoids in Facilitating Extinction of Aversive Memories: Potential Extinction Enhancers” in Neuropharmacology 64(2013), 389-395.

[11] Le considerazioni che seguono ricalcano le direttrici della ricerca teologica di chi scrive che sono state approfondite negli ultimi anni. Questi temi sono argomento di indagine, tra le altre, nelle seguenti mie pubblicazioni: Realtà sintetica. Dall’aspirina alla vita: come ricreare il mondo?, Roma, Castelvecchi, 2018; Le macchine sapienti, Bologna, Marietti, 2018; L’hamburger di Frankenstein. La rivoluzione della carne sintetica, Bologna, EDB, 2017; Ti esti? Prima lezione di bioetica, Assisi, Cittadella, 2016; La condizione tecno-umana. Domande di senso nell’era della tecnologia, Bologna, EDB, 2016; The Cyborg: corpo e corporeità nell’epoca del postumano, Assisi, Cittadella, 2012.

[12] L. Floridi, La rivoluzione dell’informazione, Codice, Torino 2012, 13.

[13] La sigla mp3 indica un algoritmo di compressione audio di tipo lossy, cioè in grado di diminuire le dimensioni in cambio della perdita di dettagli del suono, sviluppato dal gruppo MPEG, in grado di ridurre drasticamente la quantità di dati richiesti per memorizzare un suono, rimanendo comunque una riproduzione accettabilmente fedele del file originale non compresso. La musica non ha più nulla di materiale ma è tuttanell’informazione digitale contenuta e scritta in questo file. Per sua natura il file mp3 approssima la realtà, è un algoritmo di compressione che prevede una soglia di dettaglio − indicata come bitrate − oltre la quale il suono e le sue variazioni vengono ignorate. Nonostante tecnicamente si sia consapevoli di questo nel nostro modo di comprendere e percepire, la digitalizzazione è la musica e null’altro. 

[14] Si veda a tal proposito l’analisi che propone Zygmunt Bauman (cf. Z. Bauman, Vita liquida, Laterza, Bari-Roma 2008).

[15] In proposito rimandiamo ai seguenti contributi  specifici: R. Pepperell, The Posthuman Condition Consciousness Beyond the Brain, Intellect, Bristol-Portland (OR) 2003, IV; R.H. Roberts, “‘Nature’, Post/Modernity and the Migration of the Sublime”, in Ecotheology: Journal of Religion, Nature & the Environment 9(2004), 315-337 e J. Huer, The Post-Human Society, Frederick (MD), PublishAmerica, 2004, 11.

[16] Cf. C.C. Hook, “Transhumanism and Posthumanism”, in Encyclopedia of Bioethics, Vol. 5, New York (NY), Mac Millan, 1995, 2517-2520.

[17] F. Brancato, “Creazione ed evoluzione. Il pensiero di Joseph Ratzinger“, in Synaxis 3(2008), 17.


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Paolo Benanti, francescano del TOR, ha acquisito la sua formazione etico-teologica presso la Pontificia Università Gregoriana e ha perfezionato il suo curriculum presso la Georgetown University a Washington D.C. (USA) dove ha potuto completare le ricerche sul mondo delle biotecnologie. Svolge attività accademica come docente di etica delle tecnologie, neuroetica, bioetica e teologia morale presso la Pontificia Università Gregoriana a Roma.

Address: Dipartimento di Teologia morale, Facoltà di Teologia, Pontificia Università Gregoriana, Piazza della Pilotta, 4, 00187 Roma – Italia.

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