Leonardo Paris

« Teologia in Italia oggi »

Linda Hogan, João J. Vila Chã, Michelle Becka

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Con questo contributo vorrei provare ad offrire un quadro sulla teologia in Italia[a]. Non ho la pretesa di individuare uno stile o delle caratteristiche della teologia italiana in quanto tale – che forse non esiste – ma piuttosto di individuare alcuni aspetti del contesto, alcune opportunità e rischi e infine alcune possibili sfide per chi si occupa di teologia in Italia oggi. Nel fare questo cercherò di tenere presente il Proemio della Costituzione apostolica Veritatis Gaudium (VG)[b] nella convinzione che si esprimano in questo scritto programmatico alcune delle speranze più significative per la teologia di oggi e di domani.


1. Contesto 

Il contesto della teologia in Italia ha alcune peculiarità del tutto specifiche che derivano da una serie di rapporti molto precisi. Il primo rapporto è quello fra le istituzioni che si occupano di teologia a titolo accademico. Vi sono tre diverse tipologie di istituzioni coinvolte[1]

  • (1) Le Facoltà Teologiche Italiane sono 8 (Milano, Padova, Bologna, Firenze, Napoli, Palermo, Bari, Cagliari) con 5 sezioni parallele; da questo numero sono escluse le 12 Facoltà teologiche romane (e la facoltà teologica Valdese) che non sono propriamente italiane, ma vaticane/internazionali, sia da un punto di vista giuridico che per gli utenti a cui si rivolgono. 
  • (2) Gli Istituti Teologici Affiliati, Aggregati e Incorporati (circa 47): destinati principalmente  alla formazione del clero, sono molto diversi fra loro per qualità e numeri. Di fatto rispecchiano una scelta che in Italia ha dato esiti diversi: quella di mantenere il seminario diocesano – con numeri spesso ridotti, ma con un buon contatto con il territorio – oppure di creare grandi seminari interdiocesani. 
  • (3) Infine gli Istituti Superiori di Scienze Religiose: si occupano prevalentemente della formazione degli insegnanti di religione cattolica, ma sono anche il luogo a cui si rivolgono i laici interessati alla teologia. Sono stati recentemente coinvolti in un processo di riqualificazione che ne ha visto quasi il dimezzamento, essendo oggi circa 48. L’incertezza dello statuto disciplinare delle scienze religiose fa sì che il percorso di studi sia da vari punti di vista molto simile a quello delle facoltà e dei seminari, con la differenza essenziale che, non conferendo il Baccalaureato, gli ISSR non permettono di proseguire con i gradi accademici di Licenza e Dottorato. 

Da questo derivano due conseguenze: una certa separazione fra i percorsi del clero e dei laici e una certa dispersione, sovrapposizione e confusione nei percorsi di studio.

Il secondo rapporto è quello con l’università statale. Né gli studi teologici né gli studi di scienze religiose sono inseriti nell’offerta accademica statale: questo ha motivazioni storiche profonde ed evidenzia un sospetto reciproco fra Chiesa e Stato la cui analisi va oltre gli scopi di questo intervento. L’effetto di questa separazione è un certo isolamento della teologia sia rispetto alle altre discipline, sia più in generale rispetto al dibattito intellettuale nazionale. Frequentemente i teologi che trovano spazio nella cultura televisiva, giornalistica e accademica italiana non sono coloro che sono inseriti nelle istituzioni teologiche accademiche. 

Il terzo rapporto è quello fra la teologia italiana e il mondo del magistero e delle facoltà pontificie. Il fatto che l’Italia abbia una prossimità così stretta con il Vaticano comporta un equilibrio di rapporti difficile da gestire che offre evidentemente vantaggi e svantaggi. Un primo aspetto rilevante è la presenza sul territorio di istituzioni teologiche di alto livello – le facoltà  romane – che non sono di fatto italiane, né per provenienza dei professori, né per orizzonte di riferimento. Fra i vantaggi vi è sicuramente il fatto che la lingua italiana è conosciuta da moltissimi teologi al mondo che spesso hanno concluso la licenza o il dottorato a Roma. Fra gli svantaggi vi è il fatto che la presenza così vicina degli organismi centrali vaticani rischia di dare ai teologi italiani un certo senso di «commissariamento» permanente. Rischia inoltre paradossalmente di non favorire il confronto internazionale dando l’illusione di avere già l’internazionalità in casa. 

2. Caratteristiche

Sono tre le caratteristiche che segnano la teologia italiana rispetto ad altri contesti teologici europei e internazionali. La prima caratteristica è un legame ecclesiale molto solido. La teologia italiana opera in un contesto in cui il cristianesimo è ancora vivo e praticato, pur con grandi differenze. Il teologo non parla prima di tutto ad altri teologi, ma ad una realtà ecclesiale viva. L’appello rivolto dal papa all’Associazione Teologica Italiana di «fare teologia nella Chiesa»[2] è più una fotografia di ciò che già si fa e un invito a continuare in questa linea che un suggerimento a cambiare rotta. È piuttosto frequente che il teologo di professione sia un sacerdote, un laico o una laica che svolge anche compiti pastorali di qualche rilievo. 

La seconda caratteristica è un legame culturale incerto. Non si può dire che la cultura italiana sia ostile o indifferente alle tematiche cristiane, eppure è come se il dialogo fosse poco presente e poco incisivo. È come se i teologi nel contesto culturale italiano non ascoltassero e non fossero ascoltati. Si può forse vedere qui il frutto di un confronto mai del tutto avvenuto con la cultura illuministica e scientifica; si tratta di un problema che si può riscontrare in molta teologia, non solo italiana. Tuttavia in Italia questo ha degli effetti molto forti e pone chiaramente una sfida alla teologia italiana. 

La terza caratteristica è il livello della produzione teologica. Mi pare di poter dire che non solo la produzione teologica italiana ha un livello molto buono, ma anche che è molto diffusa. A questa diffusione concorrono in modo determinante le numerose associazioni teologiche, le più rilevanti delle quali sono riunite da 25 anni nel coordinamento delle Associazioni Teologiche Italiane (CATI[3]). Il dato rilevante è che tale produzione non è spesso riconosciuta né a livello internazionale, né a livello nazionale, talvolta nemmeno da chi la produce. Come in molti altri ambiti, gli italiani sembrano propensi ad essere i primi a non riconoscere il proprio valore e a sopravvalutare acriticamente quello che proviene da altrove. 

A questo punto si possono individuare alcune sfide fondamentali che costituiscono a mio avviso i compiti che la teologia italiana potrebbe assumersi per essere fedele alla propria storia e al tempo che sta vivendo. 

3. La teologia italiana per l’Italia

L’Italia nel suo complesso si troverà di fronte nei prossimi anni a dei mutamenti che non possono essere previsti nel dettaglio, ma che probabilmente vedranno una società molto più plurale, multiculturale e multireligiosa di quanto la maggior parte degli italiani non desiderino. La teologia probabilmente non potrà né cambiare questo né fornire a tutti gli strumenti per comprendere e vivere questo cambiamento. 

Sarebbe però suo compito istituire un dialogo culturale più significativo con la società italiana nel suo complesso, imparando ad essere una voce all’interno di questa stessa società. Ciò significa dotarsi di strumenti ermeneutici, teologici ed espressivi in grado di parlare anche in contesti pubblici, non religiosi o diversamente religiosi, riuscendo ad esprimere la propria voce per  instaurare un dialogo fecondo. Ciò significa anche imparare ad essere soltanto una delle voci che determinano lo spazio sociale[4]

Questo risulta particolarmente evidente in campo politico. I cattolici italiani hanno di fronte dei modelli che difficilmente potranno essere da guida per il futuro: tanto il modello del non expedit[5], che ha segnato il cattolicesimo italiano dal 1874 al 1919, quanto il modello del partito unico dei cattolici –  il cui esempio più significativo è la Democrazia Cristiana che ha unito gran parte dell’elettorato cattolico dal dopoguerra al 1994 – esprimevano l’idea che quella cattolica dovesse essere l’unica voce, oppure nessuna voce. Cosa avverrà in futuro dipenderà da molti fattori; tuttavia credo che la teologia abbia un compito del tutto specifico indicando i fondamenti teorici e lo stile concreto con cui si può parlare essendo semplicemente e decisamente una voce

In concreto, uno dei compiti più difficili sarà quello di trovare il modo di poter parlare del Signore Gesù nello spazio pubblico. A causa del forte radicamento ecclesiale il rischio è che il discorso su Gesù, anche quando è svolto da teologi di professione, assuma dei toni marcatamente catechetici. Ma la catechesi, per principio, si rivolge ai cristiani. L’unica alternativa sembra essere quella di parlare di Gesù in termini semplicemente scientifici come di un evento storico-sociale del passato. Serve invece trovare uno stile che permetta di inserire il Signore Gesù – con le istanze, le proposte, la salvezza che porta per tutti – nello spazio di tutti. Proprio questo stile potrebbe rendere fecondo per il contesto italiano (ed europeo) l’invito di papa Francesco sottolineato dal primo dei criteri espressi in Veritatis Gaudium, quello di una «concentrazione vitale e gioiosa sul volto di Dio rivelato in Gesù Cristo» (VG 4,a). Tale contesto richiede infatti che la ricchezza del kerigma trovi le strade per uscire dall’ambito intraecclesiale e presentarsi anche ai non credenti come spunto e provocazione feconda. Non si tratta di una sfida facile, ma credo che il compito di trovare una voce che parli di Gesù mostrandone l’interesse teoretico, culturale, politico possa essere affascinante per i teologi italiani e utile tanto ai credenti quanto ai non credenti italiani. 

4. La teologia italiana per la Chiesa italiana

I legami intra ed extra-ecclesiali della teologia italiana fanno sì che la figura del teologo faccia fatica a trovare in Italia una propria autonomia, e faccia fatica a definirsi come un carisma specifico. Lo statuto e la collocazione della teologia e di chi la esercita sono incerti. Definire questo statuto è un servizio importante che la teologia può offrire alla Chiesa italiana, da diversi punti di vista. 

La teologia infatti nella Chiesa non è tutto e non è niente. È una parte, un carisma specifico, perché specifici sono le competenze e i doni richiesti per esercitarlo. Non è qualcosa che possa essere assorbito dal carisma del magistero o da quello pastorale. Laddove questo carisma non sia riconosciuto, perché esercitato prevalentemente dai pastori o perché scarsamente definito, ne risentono anche gli altri carismi. 

In particolare due aspetti meritano attenzione. Il primo è che la difficoltà a trovare un luogo per i teologi rispecchia la difficoltà a trovare un luogo per la teologia, cioè per la dimensione intellettuale e critica della fede. Questo può essere di grande danno soprattutto nella formazione del clero, che deve confrontarsi oggi con una realtà italiana in cui non è raro che le “pecore” siano più colte dei “pastori”. Non avere chiara la collocazione dell’aspetto teologico-intellettuale nell’insieme della vita ecclesiale e credente non permette una azione pastorale saggia. 

Il secondo aspetto è che la teologia potrebbe essere un luogo particolare di riconoscimento e valorizzazione dei laici e delle laiche. Naturalmente solo se lo statuto del carisma teologico sarà chiarito. Altrimenti sarà percepito come una intrusione indebita, rendendo ancora più complesso questo delicato rapporto. Laddove questo statuto sia chiarito sarà possibile articolare i carismi in modo che ciascuno – per la parte che gli compete – abbia una propria parola dotata di specifica autorità. Senza una percezione plurale dell’autorità la Chiesa si configura come una piramide monolitica in cui la dignità battesimale dei laici è affermata di principio, ma mai manifestata.  

Per potersi esercitare, il carisma teologico deve essere consapevole del proprio ruolo, senza essere temerario, ma anche senza essere pavido; senza senso di superiorità, ma anche senza senso di minorità. Questo potrebbe aiutare la teologia italiana ad avere più slancio, trovare una voce più originale e superare certi eccessi di prudenza che non la rendono feconda.  

5. La teologia italiana per l’Europa e per il mondo

Penso si possa individuare il compito più vasto della teologia italiana nel panorama internazionale prestando attenzione a quanto avviene a livello della produzione teologica accademica. I teologi italiani potrebbero assumersi un doppio compito di mediazione molto interessante: quello di mediare fra le ricchezze della teologia dei diversi stati europei e la teologia italiana e quello di mediare la ricchezza delle Chiese europee nel loro complesso verso le nuove e vecchie Chiese del mondo. 

La prima mediazione – dall’Europa verso l’Italia – chiede di uscire da un certo provincialismo e di aprirsi in modo più deciso al dialogo con la cultura europea. Questo non richiede soltanto capacità di ascolto, ma anche una certa dose di coraggio, riconoscendo che anche la teologia italiana ha qualcosa da dire e da dare agli altri – uscendo così da un certo senso di minorità. 

La seconda mediazione è più complessa, ma anche più strategica. Le Chiese europee hanno una storia, una ricchezza, un ruolo, che non possono essere ignorati. Bisogna riconoscere che altre Chiese hanno il diritto di trovare la propria strada, ma questo non significa che tutte queste ricchezze e questa storia possano semplicemente essere accantonate. Il compito sarebbe quello di rendere disponibile questo patrimonio per coloro cui il cristianesimo è affidato oggi. Vanno trovate forme di mediazione che permettano questo passaggio. 

In questo la teologia italiana potrebbe avere un ruolo speciale nell’attuazione del quarto criterio di Veritatis Gaudium, ovvero «“fare rete” tra le diverse istituzioni che, in ogni parte del mondo, coltivano e promuovono gli studi ecclesiastici, attivando con decisione le opportune sinergie» (VG 4,d). Ha infatti a disposizione una lingua conosciuta da molti teologi nel mondo, una propensione – che deriva dal contatto con le strutture vaticane – a pensare tenendo presente l’orizzonte vasto del mondo e una buona qualità scientifica. Ha soprattutto una realtà ecclesiale sufficientemente viva attraverso la quale valutare nella propria carne le intuizioni e le proposte teologiche. Le idee e gli apporti teologici possono essere verificati «per così dire “sul campo” dal perseverante impegno di mediazione culturale e sociale del Vangelo messo in atto dal Popolo di Dio» secondo un modello di «interpretazione performativa della realtà» (VG 3). Questo le consente al tempo stesso di comprendere ciò che nasce nelle università e nelle esperienze ecclesiali europee, comprese quelle italiane, e di tradurlo ed offrirlo in modo conveniente ad altre esperienze ecclesiali nel mondo. 

Si tratta di una mediazione che coinvolge la capacità di pensare la propria esperienza in termini linguistici, culturali e concettuali che possano essere tradotti ed offerti anche a chi vive in contesti esperienziali, linguistici, culturali e concettuali molto diversi. Come teologo e cristiano italiano vedo chiaramente i limiti di questa prospettiva. Eppure vedo anche quale ricchezza potrebbe derivare dall’assunzione coraggiosa di questi compiti. In ogni caso credo sia fondamentale individuare le sfide che il tempo presente pone alla teologia, e provare ad affrontarle: non solo come singoli e non solo come insieme dei teologi di tutto il mondo. La prima prospettiva è troppo ristretta – ci sono sfide che non possono essere affrontate da soli – e la seconda rischia di diventare generica – le sfide di tutti sono sfide di nessuno. L’insieme dei teologi italiani potrebbe assumersi alcune sfide specifiche, così come sfide specifiche attendono i teologi di altre nazioni e di altri contesti.


Notes

[a] Per ulteriori informazioni e per riferimenti bibliografici approfonditi si può vedere: S. Segoloni Ruta, «Scenario attuale delle scuole teologiche» in CredereOggi 38 (6/2018), 111-123; 155-161; M. Mariani, «Lo studio della teologia in Italia. Verso Dove?» in Il Regno 63 (10/2018) 305-315. 

[b] http://w2.vatican.va/content/francesco/it/apost_constitutions/documents/papa-francesco_costituzione-ap_20171208_veritatis-gaudium.html

[1] Cf. https://teologiaissr.chiesacattolica.it/elenco-delle-discipline-ecclesiastiche-e-delle-facolta-e-degli-istituti-che-rilasciano-titoli-validi-per-lirc/. Un rapido sguardo alle diverse tipologie di istituzioni renderà subito molto chiara la varietà delle istituzioni e la difficoltà a fornire numeri precisi.

[2] https://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2017/december/documents/papa-francesco_20171229_associazione-teologica-italiana.html

[3] Cf. http://www.teologiacati.it. Per una analisi fatta dale associazioni stesse sullo stato della teologia in Italia vedi: P. Ciardella – A. Montan (edd.), Le scienze teologiche in Italia a cinquant’anni dal Concilio Vaticano II. Storia, impostazioni metodologiche, prospettive, Elledici, Torino 2011.

[4] Mi pare che il presupposto tanto del terzo criterio di Veritatis Gaudium – «dialogo a tutto campo» (VG 4,b) – quanto del quarto – «l’inter- e la trans-disciplinarietà esercitate con sapienza e creatività» – sia proprio la disponibilità a riconoscersi parte di un dialogo in cui l’interlocutore non è semplicemente colui che riceve la verità. Piuttosto la verità stessa coinvolge entrambi come soggetti comunicativi, secondo l’indicazione di Benedetto XVI in Caritas in Veritate, 4.  

[5] Con il non expedit papa Pio IX dichiarava inaccettabile per i cattolici partecipare alle elezioni dell’allora Regno di Italia e più in generale prendere parte alla vita politica italiana. 


Author

Leonardo Paris, nato a Trento nel 1977, ha conseguito Licenza e Dottorato in Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana e la Laurea in Psicologia Clinica e di Comunità presso l’Università “La Sapienza” di Roma. È docente stabile di Teologia Dogmatica presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose “Romano Guardini” di Trento e docente incaricato presso l’Istituto di Scienze Religiose di Bolzano e presso la Facoltà Teologica del Triveneto di Padova. Tra le pubblicazioni: Sulla libertà. Prospettive di teologia trinitaria tra neuroscienze e filosofia, Città Nuova, Roma 2012; Teologia e neuroscienze. Una sfida possibile, Queriniana, Brescia 2017.

Address: Istituto Superiore di Scienze Religiose “Romano Guardini”, Corso 3 Novembre 46, I – 38122 Trento.

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