Serena Noceti – « Quali strutture per una chiesa in riforma? »

Serena Noceti

« Quali strutture per una chiesa in riforma? »


Concilium 2018-4. Kirche der Zukunft
Concilium 2018-4. The Church of the Future
Concilium 2018-4. La Iglesia del futuro
Concilium 2018-4. L’Église du futur
Concilium 2018-4. La Chiesa del futuro
Concilium 2018-4. A Igreja do Futuro

Thierry-Marie Courau OP, Stefanie Knauss et Enrico Galavotti

Introduzione

Già nella prima fase di recezione del Vaticano II, Karl Rahner sollecitava la chiesa intera a pensare una Trasformazione strutturale della chiesa, come compito e come chance, come recita il titolo del saggio del 19721. Le tre domande che articolano il volume -Dove siamo? Che cosa dobbiamo fare? Come può essere pensata la chiesa del futuro?- costituiscono una preziosa sollecitazione anche per la nostra riflessione oggi: rimandano alla visione ecclesiologica del Vaticano II quale criterio di valutazione e prospettiva orientativa imprescindibile, segnalando al contempo i limiti dei documenti, e tracciano le vie di una possibile e necessaria recezione del Concilio.

I – In transizione: Tra «non più (a lungo)» e «non ancora»


«Cresciamo in ogni cosa verso di lui, che è il capo, Cristo» (Ef 4,15)
Qualsiasi atto di «immaginazione teologico-pastorale» che abbia come oggetto la chiesa cattolica del futuro si colloca oggi, in modo quasi ovvio, nel processo ancora aperto di recezione del Concilio: ci stiamo congedando dal modello tridentino e post-tridentino di organizzazione ecclesiale, che ha accompagnato per quasi cinque secoli l’esperienza cattolica e ha plasmato idee, spiritualità, vita pastorale, ma dobbiamo riconoscere che la trasformazione di chiesa nell’ottica delineata dal Vaticano II non è ancora pienamente avvenuta. Il pontificato di papa Francesco, con la sua decisa ripresa dell’orientamento pastorale conciliare e dell’istanza di riforma che ha motivato la convocazione del Concilio e ne ha segnato la celebrazione (tanto nella declinazione dell’aggiornamento roncalliano, quanto della renovatio montiniana), rappresenta indubbiamente una nuova fase di recezione del Vaticano II, in uno scenario socio-culturale profondamente mutato rispetto agli anni ‘60, per una chiesa divenuta ormai mondiale, come preconizzato da K. Rahner. L’esortazione apostolica Evangelii gaudium, documento programmatico del pontificato, rappresenta in fondo un appello a misurarsi in modo nuovo con la visione ecclesiologica ed ecclesiale del Vaticano II, in un superamento della prospettiva eurocentrica, grazie alla prassi ecclesiale e alle elaborazioni teologiche di teologi e vescovi, in diversi contesti continentali e a confronto con nuovi linguaggi, sfide, problematiche2. La finalità dichiarata è quella di una “ri/generazione” –nella pluralità di chiesa locali- della forma ecclesiae, a partire da una dinamica di evangelizzazione inculturata, che coinvolga tutto il popolo di Dio in un processo ermeneutico del vangelo nella storia di oggi. Non si tratta di dedurre dai presupposti ecclesiologici dei documenti del Vaticano II un modello ecclesiale completo (uno e uno solo) da applicare, ma di ri/attivare quelle dinamiche comunicative e partecipative nelle quali si rigenera, per la forza dello Spirito, il Noi ecclesiale, grazie all’interazione tra soggetti (laici e ministri ordinati) che lo co-costituiscono.

Allo stesso tempo sarebbe ingenuo pensare di «mobilitare [tutte le componenti del popolo di Dio] per un processo di riforma missionaria» (Laudato si’ 3) senza aver riletto –con sguardo coraggioso e disincantato- la lunga stagione post-conciliare, per individuare i fattori di resistenza alla riforma e alle riforme aperte o auspicate dal Concilio. Non si può sottovalutare, infatti, l’impatto di una ermeneutica magisteriale, dei documenti conciliari -prima- e poi dello stesso processo di recezione del Vaticano II, che in nome del consolidamento e della custodia della dottrina della verità davanti a possibili relativismi e riduzionismi teologici ed etici, aveva di fatto bloccato promettenti ricerche teologiche, dialoghi ecumenici, cambiamenti sul piano pastorale e che aveva finito per marginalizzare o abbandonare alcune prospettive qualificanti la visione di chiesa del Vaticano II (ecclesiologia dalla chiesa locale e non più in prospettiva universalistica; fondazione e determinazione ecclesiologico-funzionale del ministero ordinato; definizione di chiesa popolo di Dio; lettura dei segni dei tempi, etc.) 3.

Obiettivo di questo contributo non è quindi quello di raccogliere una serie di elementi che vadano a comporre un’immagine ideale di chiesa, come hanno fatto molti preziosi saggi teologici pubblicati a partire dagli anni ‘904, ma quello di riflettere sulle condizioni e i presupposti di una riforma che investa il soggetto ecclesiale nella sua dinamica istituzionale e nelle sue strutture. Il contesto socio-culturale di tarda modernità del quale siamo partecipi chiede non solo di oltrepassare le categorie ecclesiologiche tradizionali, che insistevano su una essenza a-storica di chiesa, per aprirsi alla visione di una storicità qualificante il popolo di Dio, ma anche di rivedere profondamente il modo in cui si costruisce una teoria ecclesiologica, in dialogo con le scienze sociali e le filosofie. Non basta elaborare nuovi concetti o rifarsi a nuovi apprendimenti, né è sufficiente affermare teoricamente la soggettualità di alcuni, laici o donne, perché cambino immediatamente le istituzioni ecclesiali, l’organizzazione, la forma di vita del corpo ecclesiale, la prassi pastorale: in questa transizione epocale è in gioco una trasformazione del corpo collettivo “chiesa”, che deve riplasmare in modo dinamico ogni aspetto della sua figura: visioni orientative, linguaggi, soggetti, relazioni interne ed esterne, attività e procedure, sistema sociale. È tale processo complessivo che va promosso, accompagnato, motivato, perché non ci troviamo davanti a un cambiamento incrementale o a una mutazione che non tocca la cultura collettiva del corpo sociale, ma a una vera e propria «riforma ‘di’ chiesa», che tutto investe e riplasma.

II – Riforma: visioni, relazioni, strutture

«in modo da edificare se stesso» (Ef 4,15)
Studiosi di sociologia delle istituzioni e delle organizzazioni ed esperti di scienze politiche5 richiamano –pur a partire da teorie del fenomeno sociale estremamente diversificate- il fatto che ogni riforma avviene operando, contemporaneamente, su tre livelli: sui contenuti di coscienza collettiva, sulla forma delle relazioni interne, sulle strutture, procedure, attività, ruoli in cui si esprime e si mantiene il corpo sociale. Ogni riforma che voglia essere efficace deve toccare questi livelli simultaneamente e in forma coerente, sapendo che in ogni caso una comprensione di coscienza collettiva è veicolata da una precisa forma relazionale e da una data struttura, ma queste ultime (relazioni e struttura) hanno bisogno di essere suffragate da una «visione condivisa» di chiesa. Non è sufficiente la formazione dei soggetti sul piano delle idee: deve essere ridisegnata la forma relazionale e promosso un cambiamento nell’istituzionalizzazione delle relazioni ecclesiali; d’altra parte in questo processo trasformativo le strutture uniscono sempre a una funzione oggettivo-operativa e funzionale una dimensione simbolico-comunicativa. Comprendere un’istituzione e pensarne la riforma comporta chiedersi come le persone «creino» i significati attraverso esperienze comuni, attraverso interpretazioni di storie, rituali, simboli, miti, e attraverso pratiche individuali e collettive, e implica l’interrogarsi su come gruppi e persone acquisiscano e re-interpretino tali significati in base al contesto socio-culturale di cui sono parte e che è in permanente divenire6. Il processo di riforma è alimentato dalla consapevolezza che forma e strutture, nelle quali si danno l’esperienza e l’agire ecclesiale, non sono immutabili e sono anzi sempre modificabili, dal momento che «non abbiamo mai in modo chimicamente puro la sostanza centrale immutabile accanto a una determinata forma, ma abbiamo sempre la prima soltanto attraverso la mediazione storica del momento7».

Non si tratta quindi semplicemente di riadattare le attuali strutture ecclesiali (in larga parte eredità del Tridentino), o di sostituire struttura a struttura per attuare «riforme nella chiesa», ma di orientare un processo complessivo di «riforma di chiesa» articolandolo sui tre livelli prima ricordati. Non appaiono adeguati modelli lineari di intervento, che si concentrino su un solo piano o su un solo vettore trasformativo; il rinnovamento dell’istituzione va pensato in una logica di complessità, a partire dalle dinamiche di costruzione sociale del senso (tra fede personale e Traditio ecclesiae), dalle interazioni tra soggetti, dall’interconnessione di struttura e azione sociale.

Papa Francesco ha ribadito il valore del processo che si dispiega nel tempo (EG 223) e la necessità di ripensare obiettivi, strutture, stile e metodi (EG 33); ha ricordato il fatto che la riforma delle strutture esige conversione pastorale e deve generare nuove convinzioni e atteggiamenti (EG 27.189); ha messo in guardia dall’illusione di sicurezza che le strutture possono dare (EG 49). Ma come passare dalla fase ‘di’ decostruzione/ricostruzione simbolica del papato e della forma di presenza pubblica di chiesa, nel richiamo deciso ai principi evangelici, e dall’appello a una nuova forma di chiesa (povera, misericordiosa, inclusiva, serva di tutti, etc) – che hanno contraddistinto questi primi cinque anni di pontificato – alla riforma anche strutturale di una delle più grandi istituzioni al mondo, dalla storia secolare, che vive incarnata in molteplici mondi culturali? Come si può promuovere e come governare la riforma non solo sul piano della trasformazione dei paradigmi ma anche su quello delle strutture sociali?

III – Re/visioni: prospettive (incomplete) per una chiesa in ri/forma

«il corpo ben compaginato e connesso»
Come è noto, i documenti del concilio Vaticano II accostano esplicitamente il tema della riforma ecclesiae in pochi, ma significativi passaggi: la motivano sulla base della natura storica (LG 48) e del limite e del peccato che chiedono rinnovamento e purificazione (LG 8.48); ne prospettano i criteri (UR 4.6). Alcuni cambiamenti di strutture sono stati previsti dal Concilio (o definiti immediatamente dopo la sua conclusione), sia nella Costituzione sulla liturgia, sia nei decreti che riguardano i diversi gruppi di christifideles (CD, PO, PC, AA, OT, AG); a più 50 anni dalla fine del Vaticano II si può tentare a questo riguardo una valutazione seppur sommaria e semplificatoria, dati i limitati spazi di questo contributo. In primo luogo, si può rilevare che frutti significativi si sono avuti grazie a una riforma liturgica che ha toccato correlativamente esperienza celebrativa, forma ecclesiale, linguaggi, strutture e actio liturgica. In secondo luogo, i cambiamenti avvenuti nella vita e nel ministero di vescovi, presbiteri, laici/laiche, religiosi/e sono stati indubbiamente profondi, ma non hanno (ancora) contribuito a ridefinire complessivamente il corpo ecclesiale nelle sue dinamiche portanti: hanno preso in considerazione i singoli soggetti, il loro ruolo nella istituzione-chiesa già esistente, ma non sono state adeguatamente ripensate le dinamiche relazionali che tra questi soggetti sussistono e che determinano l’identità ecclesiale. Emerge con chiarezza una lacuna grave nei documenti conciliari: non sono state indicate strutture e istituzioni che permettessero di realizzare quanto indicato in quella «carta costituzionale» che è il secondo capitolo di Lumen gentium, in cui sono definiti i principi di soggettualità ecclesiale, la forma di popolo e la comune missione messianica, i processi costitutivi della communio a partire dall’annuncio evangelico, le relazioni tra soggetti, l’inculturazione della fede. Proprio questa assenza e l’aver determinato in modo più puntuale solo strutture legate a episcopato e primato (ad esempio, sinodo dei vescovi, conferenze episcopali, curia romana e curia diocesana) attestano il fatto che il Vaticano II non ha superato completamente il modello gerarchico gregoriano-tridentino: non si è delineata l’organizzazione dinamica di una «figura istituzionale» di chiesa sviluppata sulla base dell’affermata soggettualità battesimale, che garantisse la partecipazione reale di tutti al «farsi della chiesa»; non è stata pensata la chiesa come sistema sociale aperto, in divenire storico, grazie all’apporto di parola (plurale e diversificata) di tutti i christifideles. Come affermare l’égalité nella dignità battesimale se essa non si rispecchia in adeguate forme istituzionali di corresponsabilità e non è garantita/tutelata nelle istituzioni? Come attuare la relazione tra soggettualità ecclesiale dei christifideles, ministerialità della chiesa, ministeri (ordinati) e missione dei laici, presentata in Lumen gentium capp. II-IV, senza una riforma strutturale di chiesa che tocchi ruoli e funzioni, diritti-doveri, esercizio dei poteri? In questo il Vaticano II si mostra «incompiuto»: non ha saputo consegnare, insieme alla visione ecclesiologica rinnovata, un progetto dinamico di riforma ed adeguate istituzioni che lo promuovessero e alimentassero.

IV – Tras/figurazione: traditio ecclesiae e strutture ecclesiali

«mediante la collaborazione di ogni giuntura»
Il topos della riforma gregoriana e tridentina è la “reformatio in capite et membris”, che privilegiava la duplice dinamica -comunicativa e decisionale- “top-down” e “centro-periferia” 8. I decreti tridentini de reformatione si concentravano in fondo su una componente del corpo ecclesiale (sacerdote e vescovo), dotata di congrue potestates (sacra e di giurisdizione), ed insistevano, con stile normativo, sui mores (nel senso di un agire pubblico), sull’esercizio dei loro uffici e sulla loro formazione (seminario). In una “istituzione omogenea”, qual è la chiesa tridentina, dove l’uniformitas è valore imprescindibile e l’unio dei credenti e il raggiungimento delle finalità costitutive si reggono sul principio di autorità delegata, la riforma è passata attraverso l’acquisizione di una “teoria” compiuta di chiesa, consegnata ai “quadri superiori e intermedi”, dotati di adeguata autorità riconosciuta, e dalla promozione di strutture sociali e organizzative coerenti con questa visione (parrocchia, catechismo, messale, seminario, visite pastorali).

Ben più complesso il compito di recezione del Vaticano II, che lungi dall’essere mera applicazione della lettera dei documenti è processo di “trasfigurazione” di chiesa, nell’accoglienza dell’evento e di quanto affermato nel corpus letterario-dottrinale dei testi conciliari. Il rinnovamento ecclesiologico del Vaticano II rispetto alla visione tridentina è profondo: il principio primo che fa chiesa, che la genera e rigenera, è individuato nell’annuncio del Vangelo del Regno; la chiesa vive “in Traditio”, in una comunicazione della fede e nella fede tra credenti, ministri ordinati e laici, la cui identità e soggettualità sono ripensate radicalmente (LG capp. II-III); la chiesa locale è intuita come “figura-base” di un tale dinamismo del farsi chiesa. Promuovere una riforma di chiesa secondo il Vaticano II comporta guardare alle strutture non in forma statica e standardizzata (una sorta di contenitore di attività, pensate per garantire l’omeostasi), ma quali “frame” nei quali e attraverso i quali l’azione sociale (di evangelizzazione, liturgia, servizio) dei singoli e del corpo collettivo “chiesa” garantisce il processo di vita ecclesiale. Il focus non è sulla “istituzione data”, ma sulle “dinamiche istituzionalizzanti”.

Per essere adeguate alla chiesa del futuro, culturalmente policentrica, con soggetti tutti attivamente partecipi, le strutture ecclesiali (e le azioni sociali ad esse correlate) dovranno rispondere in primo luogo a tre istanze necessarie a una chiesa in Traditio che voglia affrontare le sfide già oggi presenti in nuce: custodire la pluralità, garantire l’interconnessione, mantenere l’identità nel divenire. La necessaria inculturazione della fede cristiana, in linguaggi e in forme sociali e organizzative differenziate (che chiederanno probabilmente la formulazione di Codici di diritto canonico su base continentale), deve essere correlata a strutture che esprimano e realizzino l’Una catholica. L’apporto di molteplici soggetti co-costituenti la chiesa (singoli credenti, chiese locali) comporta lo sviluppo di strutture di interazione, che attuino le dinamiche comunicative pluridirezionali prospettate in Dei Verbum 8 e in Lumen gentium 12, per un reale consensus fidelium. La tensione a definirsi in forme stabili e codificate (che finiscono però per essere sacralizzate e pensate come immutabili, sottratte al divenire e “ossidate”) va riconosciuta come una logica tipica di ogni corpo sociale, ma insieme va contrastata ponendo fin dall’inizio momenti e procedure di verifica e riprogettazione, dispositivi di interruzione e di ascolto di chi non appartiene o esprime valutazioni critiche sull’esistente.

V – Semper reformanda: dinamiche e forme di vita del popolo di dio
«secondo l’energia propria di ogni membro, riceve forza per crescere»

Più volte nel corso di questi cinque anni papa Francesco ha ribadito che l’ecclesia è semper reformanda e si avverte la necessità di un processo trasformativo, che riprenda il cammino interrotto delle riforme indicate dal Vaticano II e incida su alcuni settori di vita ecclesiale che appaiono particolarmente fragili9. Appare essenziale concentrarsi sulla riforma delle dinamiche che sono al cuore della vita e dell’evoluzione del Noi ecclesiale, perché questo permetterà di tracciare passaggi irreversibili e soprattutto metterà in condizione di affrontare quelle sfide che il futuro consegnerà ai credenti e che oggi possiamo al massimo intuire10. Più specificamente, nel cantiere aperto della recezione del Vaticano II, l’interrogativo centrale è quali siano le dinamiche, gli istituti e le strutture che permettano di realizzare la forma di popolo illustrata nel cap. II di Lumen gentium. Pensiero e azione di riforma devono per questo orientarsi su tre vettori, intorno a cui si può realizzare un reale cambiamento nella forma delle relazioni ecclesiali: modificare i modelli comunicativi, ripensare potere/i e autorità, riconoscere due “partner dimenticati”, laici e donne. Tutti e tre sono correlati alle recenti metamorfosi socio-culturali. Tutti e tre riguardano le mediazioni che strutturano ogni corpo sociale e che nelle riforme devono essere ripensati e riplasmati; nella loro interazione si può rimodulare in modo nuovo la relazione dialettica tra “strutturazione oggettiva del rapporto” ecclesiale e “costruzioni soggettive” del senso collettivo (P. Bourdieu).

V.1 Questione di comunicazione: la chiesa nasce e vive di interazioni comunicative

La chiesa è un soggetto collettivo istituzionalizzato, socialmente costruito attraverso interazioni comunicative, in evoluzione: tutte le dinamiche partecipative, simbolico-liturgiche, decisionali, attuative, possono essere riportate a tali interazioni comunicative, con finalità assertive e performative11. Dietro ogni modello di chiesa sta sempre uno specifico modello comunicativo che suffraga, sostiene, mantiene in essere il soggetto ecclesiale, sia con dinamiche di trasmissione-attestazione della fede a chi non è credente, che con dinamiche di tipo attestativo-ermeneutico di fede e nella fede tra coloro che già appartengono al corpo ecclesiale. La riforma di chiesa richiede, in primo luogo, la promozione e la strutturazione di dinamiche comunicative pluridirezionali asimmetriche (tenendo presenti la differenze sul piano carismatico e ministeriale che sussistono tra i christifideles), che permetta il superamento del modello gregoriano e tridentino di chiesa, a sistema comunicativo unidirezionale. Ogni persona è un punto emittente-ricevente nel “network dialogico” di chiesa ed è coinvolta nella comunicazione della fede che “fa chiesa”, perché investita del munus profetico (LG 12); l’autorità dei ministri ordinati non impone il cambiamento voluto, ma è la promotrice del processo di discernimento comunitario verso il consensus fidelium, ed è la garante dell’identità ecclesiale nella Tradizione, come custode dell’apostolicità dell’annuncio, che può, alla fine e grazie al processo ermeneutico che coinvolge tutte le componenti ecclesiali, pronunciare pubblicamente e nella liturgia la parola del Noi ecclesiale. Una chiesa che voglia realizzare la sua natura sinodale deve riconfigurarsi ai diversi livelli (dalle parrocchie alle diocesi alla chiesa universale) in “comunità ermeneutiche”, con spazi e strutture di ascolto-partecipazione, ed acquisire uno stile di comunicazione, a registro polifonico, che permettano di recepire nuove prospettive, nuovi linguaggi, nuove categorie dischiuse e consegnate da quei soggetti ecclesiali (laici, donne, giovani, esponenti di culture non occidentali) che fino ad oggi non hanno avuto riconoscimento adeguato nel corpo ecclesiale.

V. 2 Questione di potere: poteri ed esercizio dell’autorità nel corpo ecclesiale

«Il potere è il più importante aspetto della struttura di una società12»: l’acquisizione di ruoli di autorità, la distribuzione del/i potere/i e la loro gerarchizzazione, il fondamento e la giustificazione del potere e dei ruoli connessi giocano un ruolo centrale in ogni sistema sociale. Il cattolicesimo per secoli ha istituzionalizzato una forma di autorità “semplice”, piramidale, a partire dall’”uno”, con un coinvolgimento di “alcuni”, e rivolto ai “tutti”, a cui è chiesta obbedienza, giustificandola sulla base di un complesso di idee e valori, espliciti e in parte impliciti, di natura religiosa13. In questo modello, il potere sociale, che controlla l’attribuzione di status ai diversi soggetti (definendo ruolo e posizione di ognuno), e ilpotere culturale, legato alla creazione, interpretazione, mantenimento di valori e significati, sono stati assunti e incarnati dagli stessi soggetti: il sacerdote e il vescovo. Ma il cambiamento sociale e culturale avvenuto in Occidente negli ultimi tre secoli è stato profondo e ha inevitabili ripercussioni sull’esperienza ecclesiale: crisi dell’autorità tradizionale (kyriocentrica e patriarcale), acquisizione di una mens democratica, ossessione antiautoritativa e valore riconosciuto alla autodeterminazione dell’individuo, pluralizzazione dei centri di potere, abbandono di ogni legittimazione di tipo immediatamente religioso dell’autorità.

Il modello ecclesiologico gregoriano e tridentino della chiesa societas si sviluppava intorno al principio dell’autorità delegata, con una comprensione del potere nella logica del comando dell’uno –papa, vescovo, sacerdote- sui “tutti”, a cui doveva corrispondere assenso e ubbidienza. Il Vaticano II, con lo spostamento del focus dalle due potestates ai tria munera Christi che definiscono la comune missione messianica e sono poi declinati in forme peculiari per i diversi soggetti (ministri ordinati e laici), consegna le prospettive per un ripensamento complessivo del fondamento e della natura del potere: si tratta di sviluppare una visione plurale dei “poteri”, nell’orizzonte di una responsabilità del Noi ecclesiale sempre compartecipata; di ripartire dall’exousia, quale “potere di” parola che fa chiesa consegnata ai discepoli di Gesù, per ripensare poi in questa logica ogni “potere su”, in particolare quello dei ministri ordinati nella comunità, e per affrontare la spinosa questione di genere per cui la parola dell’“uno” nella chiesa cattolica è oggi solo a determinazione maschile; di riconoscere forme di potestas iurisdictionis sul fondamento battesimale. Una riforma di chiesa chiede oggi la presenza di una “leadership trasformativa”, esercitata in forma collegiale: chi ha autorità nella chiesa deve saper unire analisi e immaginazione, deve saper guidare processi complessivi di cambiamento, integrando, favorendo la dialettica interna, motivando cammini diversificati verso il fine comune. Team pastorali, formati da ministri ordinati, sposi, laici, uomini e donne, sono le strutture prime di promozione di un corpo ecclesiale che privilegi la logica del co-power, come medium ed espressione di una relazionalità sinodale, sottraendosi al fascino del potere dell’ “uno”, sempre esposto al pericolo della autoreferenzialità. In ogni caso l’auspicato coinvolgimento dei laici nelle decisioni pastorali chiede complessificazione del processo decisionale, da articolarsi in più fasi, in modo tale che le competenze e le esperienze dei laici istruiscano fin dall’inizio le questioni su cui dibattere, ci sia possibilità di esprimere orientamenti motivati e condivisi (espressi anche attraverso il voto) in vista della deliberazione finale del ministro ordinato, che non potrà essere pensata a prescindere dal processo complessivo messo in atto dalla comunità, perché «quod omnes tangit, ab omnibus tractari [et approbari] debet»14.

V. 3 Questione di riconoscimento: soggetti dimenticati, ruoli, interazioni

Infine, ogni processo di riforma si sviluppa intorno alla maturazione di coscienza e di ruolo dei diversi soggetti che lo compongono. J. O’Malley ricorda che la forma tridentina è stata sviluppata a partire dalla riorganizzazione e rivitalizzazione del clero diocesano, mettendo al centro la figura “parrocchiale”, laddove veniva garantita la cura d’anime. Nel caso del Vaticano II gli agenti primari di realizzazione di chiesa e di attuazione della riforma sono tutti i christifideles, sia ministri ordinati, sia laici: l’identità e soggettualità specifica degli uni e degli altri è definita in forma correlata in rapporto all’unica missione e alle dinamiche comunicativo-partecipative interne. Papa Francesco oltrepassa le ermeneutiche riduttive e in fondo regressive degli ultimi decenni, mette in evidenza la soggettualità dell’“immensa maggioranza” dei laici (EG 102), in particolare delle donne (EG 103-104), tutti e tutte corresponsabili e non semplici collaboratori della gerarchia (come affermava l’Istruzione Ecclesia de mysterio), con la loro parola necessaria a una comprensione rinnovata del vangelo nell’oggi della storia. Per secoli le relazioni intraecclesiali sono state giocate sulla centralità indiscussa del clero, sottostimando il ruolo dei laici e denigrandone la condizione; ancora oggi i ministri ordinati determinano il linguaggio dell’istituzione ecclesiale, i confini delle appartenenze, le attività pubbliche; si investe quasi esclusivamente sulla formazione del clero e le stesse ipotesi di riorganizzazione del sistema parrocchiale in Europa sono misurate esclusivamente sulla presenza-azione dei presbiteri. Il problema è indubbiamente quello di promuovere l’empowerment dei laici (soprattutto donne), ma il loro potere di agency dipende –più profondamente- da una questione di entitlement: se si diano le condizioni di offrire un apporto non dipende solo dalla coscienza del soggetto, ma anche dalle aspettative del corpo sociale, dalle forme di interazione stabilite e da chi gode di autorità sul Noi, che può riconoscere o meno il diritto/dovere di partecipazione.

Il processo di riforma delle strutture ecclesiali deve perciò essere articolato su più livelli, in modo da coinvolgere contemporaneamente e correlativamente formazione e agency di tutti i soggetti che co-costituiscono la chiesa: promuovere strutture di sinodalità ordinaria (consultazioni, assemblee a tema, elaborazione di testi collettivi, sinodi locali che preparino i sinodi dei vescovi, etc.), che permettano una partecipazione allargata di tutti i battezzati, senza limitarsi alla rappresentanza e alla delega ai consigli, consulte laicali; ampliare gli spazi elaborativi, decisionali, formativi nei quali possa risuonare la parola competente e autorevole delle donne15; ripensare la soggettualità dei ministri ordinati, accogliendo fino in fondo le novità teologiche del Vaticano II e mettendo mano ai “dossier sospesi” (scelta dei presbiteri tra celibi e sposati, ordinazione di donne diacono, percorsi di formazione dei vescovi, coinvolgimento delle chiese locali nella nomina dei vescovi, promozione del diaconato permanente maschile, abolizione del seminario e ripensamento dell’iter formativo dei presbiteri, ruolo del presbiterio diocesano). Scelte concrete in questo campo sono ormai improcrastinabili (le segnalava già E. Schillebeeckx negli anni ‘80): un numero enorme di comunità cristiane (in alcune nazioni si arriva al 70%) non può celebrare l’eucaristia domenicale per assenza di presbiteri; la coscienza della centralità dell’eucaristia per la vita cristiana urget nos a ridiscutere i criteri di ammissione al ministero e le sue forme tradizionali di esercizio.

Conclusione

Agire per la trasformazione dei modelli comunicativi intraecclesiali, della “architettura” dei rapporti di potere (a partire dal potere di parola che fa chiesa) e delle dinamiche di riconoscimento di soggettualità permette di incidere profondamente sul processo vitale di chiesa, senza disperdere energie in riforme settoriali, probabilmente meno complesse e dai risultati più rapidi, e senza predeterminare progetti troppo dettagliati, che rischierebbero di risultare desueti data la rapidità dei cambiamenti culturali. Alcuni dei passaggi ora indicati in relazione alla riconfigurazione dei ruoli e delle funzioni ecclesiali, alla determinazione dei poteri e all’esercizio di autorità comportano evidentemente un confronto del magistero a livello di chiesa universale, ma altre trasformazioni, relative ai modelli comunicativi e organizzativi, possono già essere proposte e attuate a livello di chiese locali e di chiese particolari, tenendo presenti le sensibilità culturali in gioco (ad esempio nel definire pratiche e modelli di genere). Profetiche sperimentazioni, promosse da conferenze episcopali e regionali o maturate in contesti diocesani, create o suggerite anche dai laici, potranno suffragare e orientare successivi dibattiti e ricerche a più ampio raggio. Come scrive nella sua ultima opera incompiuta U. Beck «è necessario indagare i nuovi inizi, puntare lo sguardo su ciò che sa emergendo dal vecchio, cercare di intravedere, nel tumulto del presente, le strutture e le norme future»16.

Sommario

Lo sforzo di immaginazione di una Chiesa del futuro deve necessariamente scontare il limite di inserirsi in una particolare fase storica, segnata dalla ricezione del Vaticano II, che è un processo tutt’altro che lontano dalla sua conclusione. Il Concilio Vaticano II ha reso evidente che la Chiesa del futuro non può essere semplicemente concepita come la restaurazione di un modello storicamente superato quale quello determinato dal Concilio di Trento, ma deve fondarsi su una rigenerazione globale, capace sia di superare l’eurocentrismo che ha segnato gli ultimi secoli della sua storia, sia di superare il rigido steccato tra clero e laicato per coinvolgere l’intero popolo di Dio in questo processo di trasformazione. L’esortazione Evangelii gaudium di papa Francesco ha fornito spunti importanti di riflessione per avviare questo processo di trasformazione. Occorre ripensare profondamente il ruolo delle Chiese locali e valorizzarne il patrimonio di culture e tradizioni troppo a lungo sacrificato nell’ottica di una centralizzazione uniformante; ed è necessario altresì promuovere strutture di sinodalità ordinaria che consentano una effettiva partecipazione di tutti i battezzati nella formazione delle decisioni che presiedono alla vita delle comunità cristiane.

Autore

Docente stabile ordinario di teologia sistematica presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Firenze; tiene corsi presso la Facoltà teologica dell’Italia centrale. Socia fondatrice del Coordinamento Teologhe Italiane, è vicepresidente dell’Associazione Teologica Italiana. Tra le sue pubblicazioni, dedicate in particolare all’ecclesiologia, alla teologia di genere e alla catechesi, si segnalano S. Dianich – S. Noceti, Trattato sulla chiesa, Queriniana, Brescia 2002, 2015; M. Perroni – A. Melloni – S. Noceti (edd.), «Tantum aurora est». Donne e Vaticano II, LIT, München 2012; S. Noceti (ed.), Diacone. Quale ministero per quale chiesa?, Queriniana, Brescia 2017 [tr. sp. Diáconas. Un ministerio de la mujer en la Iglesia, Sal Terrae, Santander 2017]. È curatrice, con Roberto Repole, del Commentario ai documenti del Vaticano II (EDB, Bologna).

Contatto

Istituto Superiore di Scienze Religiose
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serena.enne@gmail.com

Notes

  1. K. Rahner, Strukturwandel der Kirche als Aufgabe und Chance, Herder, Freiburg i.Br. 1972 [Trasformazione strutturale della chiesa come chance e come compito, Queriniana, Brescia 1973].
  2. Tra i molti saggi pubblicati sull’argomento, cf. J.L. Segovia et al., Evangelii gaudium y los desafíos pastorales papa la Iglesia, PPC, Madrid 2014; K. Appel – J.H. Deibl (edd.), Barmherzigkeit und zärtliche Liebe. Das theologische Programm von Papst Franziskus, Herder, Freiburg I.Br. 2016; G. Mannion (ed.), Pope Francis and the Future of Catholicism, Cambridge University Press, Cambridge 2017.
  3. Cf. A. Melloni – G. Ruggieri (edd.), Chi ha paura del Vaticano II?, Carocci, Roma 2009; G. Routhier, Il Concilio Vaticano II. Recezione ed ermeneutica, Vita e Pensiero, Milano 2007; A. Melloni – C. Theobald (edd.), Vatican II. Un futuro dimenticato?, in Concilium 4/2005; M. Faggioli, Vatican II. The Battle for Meaning, Paulist Press, New York 2012; M. Faggioli – A. Vicini (edd.), The Legacy of Vatican II, Paulist Press, Mahwah New York 2015.
  4. Cf. G. Lafont, Immaginare la chiesa cattolica. Linee e approfondimenti per un nuovo dire e un nuovo fare della comunità cristiana, San Paolo, Cinisello B. 1998 [or. 1996]; M. Kehl, Dove va la chiesa? Una diagnosi del nostro tempo, Queriniana, Brescia 1998 [or. 1996]; J.B. Libanio, Scenari di chiesa, Messaggero, Padova 2002 [or. 1999]; C. Duquoc, Credo la chiesa. Precarietà istituzionale e Regno di Dio, Queriniana, Brescia 2001; G. Lafont, La chiesa. Il travaglio delle riforme, S. Paolo, Cinisello B. 2012; S. Dianich, La chiesa cattolica verso la sua riforma, Queriniana, Brescia 2014.
  5. Cf. N. Brunsson, Reform ad Routine. Organizational Change and Stability in the Modern World, Oxford University Press, Oxford 2009; M. Ferrante – S. Zan, Il fenomeno organizzativo, Carocci, Roma 200711, 214-250; J.G. March – J.P. Olsen , Rediscovering Institution. The Organizational Basis of Politics, Free Press, New York 1989; J.G. March, Explorations in Organizations, Stanford University Press, Stanford 2008, 191-296; D.C. North, Istituzioni, cambiamento istituzionale, evoluzione dell’economia, Il Mulino, Bologna 2005; G.R. Bushe – R.J. Marshak (edd.), Dialogic Organization Development, Barrett – Köhler, Okland CA 2015.
  6. Cf. P.L. Berger – Th. Luckmann, La realtà come costruzione sociale, Il Mulino, Bologna 1969 [or. 1966].
  7. W. Kasper, Zum Problem der Rechtgläubigkeit in der Kirche von morgen, in Aa.Vv., Lehre der Kirche – Skepsis der Gläubigen, Herder, Freiburg i.Br. 1970, 79, cit. da F.X. Kaufmann, Sociologia e teologia, Morcelliana, Brescia 1974, 179.
  8. Cf. J. O’Malley, Developments, Reforms, and Two Great Reformations, in Tradition and Transition: Historical Perspective on Vatican II, Glazier, Willmington 1989, 82-125.
  9. Cf. quanto proposto in A. Spadaro – C.M. Galli (edd.), La riforma e le riforme nella chiesa, Queriniana, Brescia 2016.
  10. Cf. N. Ormerod, Re-visioning the Church. An Experiment in Systematic-Historical Ecclesiology, Fortress Press, Minneapolis 2014; L.S. Mudge, Rethinking Beloved Community, University Press of America, Washington 2001; R. R. Gaillardetz – E.D. Hahnenberg (edd.), A Church with Open Doors. Catholic Ecclesiology for the Third Millennium, Liturgical Press, Collegeville M. 2015.
  11. S. Noceti, Eucaristia e soggetto del pensare cristiano, in F. Scanziani (ed.), Eucaristia e Logos. Un legame propizio per la teologia e la chiesa, Glossa, Milano 2013, 183-212.
  12. B. Jessop, Social Order, Reform and Revolution. A Power, Exchange, and Institutionalization Perspective, Herder & Herder Mew York 1972, 54. Cf. Cf. S.R. Clegg, Frameworks of Power, SAGE, London 1989; S.R. Clegg – M. Haugaard (edd.), Handbook of Power, SAGE, London 2009.
  13. N. Timms – K. Wilson (edd.), Governance and Authority in the Roman Catholic Church, SPCK, London 2000; P. Prodi – L. Sartori (edd.), Cristianesimo e potere, EDB, Bologna 1986; Th.P. Rausch, Authority and Leadership in the Church. Past directions and Future, Glazier, Willmington 1989; G. Mannion, What do we Mean by “Authority”?, in B. Hoose (ed.), Authority in the Roman Catholic Church. Theory and Practice, Ashgate, Aldeshot 2002, 19-36; G. Mannion – R. Gaillardetz – J. Kerkohs – K. Wilson, Readings in Church Authority, Ashgate, Aldeshot 2003; M.N. Ebertz, Dienstamt, Macht, Herrschaft in Kirche und Gesellschaft, in M. Remenyi (ed.), Amt und Autorität, Schöningen, Paderborn 2012, 115-138.
  14. Y.M. Congar, in Revue historique de droit français et étranger 36 (1958) 210-259.
  15. Cf. C. Militello – S. Noceti (edd.), Le donne e la riforma della chiesa, EDB, Bologna 2017.
  16. U. Beck, La metamorfosi del mondo, Laterza, Bari Roma 2017 (ebook, posizione 165).

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