Gianluca Montaldi – « L’affidabilità della chiesa »

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L’affidabilità della chiesa come narrazione della sua credibilità

di Gianluca Montaldi
(Università Cattolica del S. Cuore – Brescia)
@GianGiBar

Premessa

In epoca moderna, tra i compiti che la ricerca ha attribuito alla teologia fondamentale, ha assunto particolare peso quello di mostrare la credibilità della chiesa. Queste riflessioni vorrebbero sottolineare la necessità che anche oggi si percorra una strada simile. Tuttavia, generalmente si elaborava un percorso verso una credibilità di tipo deduttivo, mentre oggi appare sempre più necessario configurare un discorso a livello di relazioni.

La forma ‘tradizionale’

A seconda delle metodologie usate, la credibilità della chiesa – come istituzione e anche come comunità di credenti – è stata descritta sostanzialmente basandosi su due linee: una linea giuridica e una linea storica. Sia in un senso che nell’altro, si è fatto riferimento ad un qualche momento o ad una qualche intuizione che veniva ricondotta alla testimonianza apostolica, se non addirittura a Gesù stesso.

In modo particolare, la linea giuridica aveva ed ha la pretesa di descrivere una linea continuativa che dagli apostoli arriva fino ai giorni nostri, per esempio riferendosi agli elenchi dei vescovi nei vari distretti ecclesiastici dove l’episcopato monarchico si è man mano diffuso, o precisando come la funzione apostolica sia stata trasmessa tra le varie generazioni. In tale linea soprattutto i vescovi sarebbero referenti non solo di un ministero di comunione, ma che in qualche modo detentori di conoscenze o di un supplemento di grazia, che si passano “quasi di mano in mano” (DH 1591)[1]; ciò permetterebbe loro di non mancare nella fede, intesa per lo più nei suoi contenuti.

Ampliando la visuale e l’esperienza, ma con più semplicità, la linea storica – in qualche modo ufficializzata nel concilio Vaticano I – ha messo al centro della sua riflessione i segni che possono legare l’esperienza ecclesiale con l’azione della grazia: “Nella sola chiesa cattolica si riscontrano tutti quei segni così numerosi e così mirabili disposti da Dio per far chiaramente apparire la credibilità della fede cristiana. La chiesa, anzi, a causa della sua ammirabile propagazione, della sua eminente santità, della sua inesausta fecondità in ogni bene, a causa della sua cattolica unità e della sua incrollabile stabilità, è per se stessa un grande e perenne motivo di credibilità e una irrefragabile testimonianza della sua missione divina” (DH 3013).

Non è difficile intuire come entrambe le riflessioni nascano in un contesto confessionale e all’interno di una prospettiva volutamente apologetica. A conti fatti, si tratta di dar conto alla ragione della pretesa della chiesa (cattolica) di rappresentare la sempre rinnovata testimonianza storica del vangelo di Gesù. In modo coerente, si sviluppa un ragionamento che riguarda il ‘potere’ (chi lo detiene e chi lo può distribuire) e che si risolve in una gerarchia patriarcale; a sua volta, ciò si riflette necessariamente nella stessa struttura ecclesiale: attraverso un atto istitutivo in qualche modo voluto da Gesù, Dio ha dotato la comunità dei discepoli di una gerarchia di poteri per distribuire la sua grazia. Questo è andato ancor più accentuandosi, quando la chiesa (cattolica) si è dotata anche di un diritto centralizzato e di una corrispondente burocrazia, ad imitazione degli stati moderni: come questi hanno creato giuridicamente stati di eccezione, così la chiesa si è ritenuta in grado di creare campi privati della grazia o delle sue energie, regimentandone – se non di fatto, almeno di diritto – l’accesso per varie categorie di persone (comunisti, omosessuali, credenti di altre religioni, non credenti, divorziati, etc.).

Per rafforzare un nuovo percorso

Già il Vaticano II ha creato spazi per una strada diversa, soprattutto nel richiamo alla “grazia di Dio che previene e soccorre” e agli “aiuti interiori dello Spirito Santo, il quale muove il cuore e lo rivolge a Dio, apre gli occhi della mente e dà a tutti dolcezza nel consentire e nel credere alla verità” (DV 5). La grazia, insomma, non è un ufficio di collocamento per chi aspira a posizioni di potere, ma apre in modo universale spazi di possibilità e potenzialità[2] e la linea apostolica si sviluppa in una storia di relazioni nella quale soltanto ha senso pensare il passaggio di testimoni (cfr. DV 8). È questa universalità dell’offerta della grazia a costituire ed istituire la propria affidabilità e credibilità. Se la teologia moderna – in modo conforme al proprio tempo – ha cercato di convincere della razionalità dell’esperienza ecclesiale, ora essa si mostra coerente con il proprio fondamento solo a livello della propria affidabilità. Si intende anche questo quando si utilizza teologicamente il termine “accountability”.

Di per sé, esso fa riferimento alla sfera economica e politica, dove un’istituzione o un soggetto delegato sono tenuti a rendere conto delle proprie decisioni e ad essere responsabili in modo autonomo dei risultati. Generalmente ciò significa che il soggetto è (auto-)obbligato ad informare delle proprie azioni (trasparenza), che è chiamato a darne giustificazione (rendicontazione) ed eventualmente che è tenuto al risarcimento (sanzionabilità). L’obiezione che qualcuno potrebbe fare è quella di evitare tale termine perché troppo carico di significati non religiosi, e anzi propriamente aziendali.

Eppure vale la pena fare almeno due considerazioni. La prima è di carattere biblico: un’attenta analisi, infatti, potrebbe non solo riprendere i brani dove la ‘rendicontazione’ viene espressamente richiamata (cfr. Lc 16,2, ma specialmente 1Pt 3,15), ma anche mostrare che la narrazione biblica è evidenza della trasparenza dell’azione di Dio nella storia umana e ne costituisce quasi una regola di giudizio. Una seconda riflessione riguarda la caduta di interesse per l’esperienza ecclesiale come tale: generalmente attribuita ad una mancanza di fede da parte dei singoli, si rivela in questa prospettiva una carenza di affidabilità da parte dell’istituzione. Basta citare tre esempi molto chiari: il fenomeno così diffuso degli abusi sessuali e recentemente venuto a galla nella sua agghiacciante tragicità attraverso indagini condotte da autorità indipendenti[3], il caso che ha congiunto T. Bertone, T.E. McCarrick e C.M. Viganò[4], lo scandalo finanziario avvenuto attorno alla figura di G.A. Becciu: sebbene in questo caso non si sia ancora arrivati ad un giudizio conclusivo, è comunque un duro colpo all’immagine della chiesa. In tutti questi casi, si potrebbe obiettare che niente in essi ne tocca l’essenza, ma essi sono comunque dimostrazione che questa non è ancora affatto realizzata. Se un tempo sarebbe stato sufficiente dimostrarne la razionalità, ora il tempo ne richiede l’affidabilità, anche proprio nella sua non realizzazione. Se l’istituzione ecclesiale non mantiene un grado sufficiente di affidabilità, non può essere segno della stessa affidabilità di Dio[5].

Cosa potrebbe significare?

Certamente, il discorso dovrebbe prima precisare il significato della parola accountability in riferimento all’esperienza ecclesiale: se, in generale, essa indica la responsabilità di una impresa nei confronti dei propri clienti e soprattutto degli stakeholders, per la chiesa essa indica una duplice responsabilità: la trasparenza alla grazia e ai suoi strumenti e la capacità di creare processi di reale cooperazione[6].

Quindi, una chiesa affidabile è prima di tutto una chiesa che opera in trasparenza[7]. La parte minima di questa considerazione riguarda la necessità di rendere rintracciabili e pubbliche le transazioni economiche e finanziarie delle istituzioni ecclesiali e di avere un buon sistema interno di controllo su tutte le istanze[8]: la recente riforma della finanza vaticana va per fortuna in tal senso[9], ma occorre che ogni realtà ecclesiale sia sottoposta ad una tale misura e in modo ancora più stringente, considerando che le istituzioni ecclesiali vivono di donazioni. Questa trasparenza è prima di tutto resa necessaria dal fatto che operazioni nascoste rischiano di dare spazio a misure equivoche e scarsamente evangeliche, ma è richiesta anche da un dovere di giustizia nei confronti di chi ha donato.

Tuttavia, questo solo non basta, perché si deve arrivare a toccare tutti gli aspetti della vita ecclesiale: per esempio, rendendo chiaro chi scrive i vari documenti, firmati eventualmente dal papa o dal vescovo. Non ha più senso pubblicare testi approvati in forma più o meno generica, senza saperne la fonte e il contesto: questo sistema di patriarcalismo gnoseologico ha fatto già danni sufficienti. Di fatto, la mancanza di trasparenza (chi ha deciso e che cosa, su quali caratteristiche vengono effettuate alcune scelte di azioni e di persone, cosa viene realmente deciso in tutti i livelli e le istanze decisionali) crea quell’elitarismo che oscura l’affidabilità della chiesa[10].

In secondo luogo, una chiesa affidabile è una chiesa responsabile. Chi ha vissuto in una parrocchia, sa bene che attualmente il parroco può prendere molte decisioni senza dover comunicare molto, almeno nei paesi di antica evangelizzazione. Gli attuali organi di partecipazione si rivelano molto labili e deboli, anche se sulla carta ad essi è affidato molto. Non parliamo della gestione delle opere e delle persone da parte delle comunità di vita religiosa, dove molto spesso le decisioni sono prese da un piccolo gremio, se non da una sola persona, senza alcuna responsabilità, stravolgendo quel poco di democrazia che la profezia della vita religiosa porta con sé. Non è più questo il tempo dove è possibile affermare che l’autorità fonda la propria giustificazione, poiché i fatti hanno dimostrato l’esatto contrario.

Il sistema di rendicontazione interna tra laici e presbiteri, tra questi e i vescovi, fino al papa, è oramai datato, come un esperto di risorse umane potrebbe facilmente mostrare. Senza contare che l’affidabilità richiede una buona dose di corresponsabilità e sussidiarietà: è ora che questo insegnamento tradizionale nella dottrina sociale della chiesa diventi effettivo anche nella struttura ecclesiale. Ciascun credente è in proprio responsabile della propria fede. Il clericalismo – già varie volte richiamato come malattia curiale – è purtroppo più diffuso di quanto si pensi: alla luce di questo è necessario un serio ripensamento della teologia del ministero e della consacrazione sacerdotale. Non è più tempo di caste.

Infine, una chiesa affidabile deve poter essere sanzionata. Nel sistema dell’attuale codice di diritto esistono delle sanzioni che sono comminate in relazione ad un reato. Tuttavia, ancora sussiste una difficoltà generale ad ammettere che la chiesa sbagli non solo nei suoi membri, ma nella sua stessa struttura. Particolarmente, i casi di abuso sessuale hanno dimostrato la fallacia della tendenza a considerare che la chiesa debba affrontare i suoi problemi solo con azioni interne e l’incompletezza del suo sistema giuridico. Come mostra proprio questo caso, l’indefettibilità della chiesa non deve essere più utilizzata a giustificazione dei reati commessi. Il silenzio di fronte a scandali di tipo morale e di tipo sociale, perpetrati nella chiesa, per la chiesa e a nome della chiesa[11], è oramai un grido che non può essere zittito. Tutto questo non è però possibile – ancora una volta – se non vi è trasparenza delle responsabilità. Deve comunque essere chiaro che questo comporta una rivisitazione critica e profonda del significato dell’autorità nella chiesa: se ancora il ministero episcopale è presentato ed attuato come una elezione totalmente avulsa dal popolo cui è a servizio, non vi è certo possibilità di una critica per così dire dal basso.

Una conclusione

Vi è un punto che mi pare essere una specie di cartina di tornasole dell’accountability: si tratta dei diritti umani all’interno della struttura ecclesiale. È un dovere di coerenza: non si può predicare agli altri quello che non si vive. Tale impossibilità viene dal vangelo. Un serio confronto con questo aspetto potrebbe aiutare a mostrare come la chiesa cattolica e le sue istituzioni crede in quello che dice. E potrebbe aiutare a comprendere come essa intende porsi davvero a servizio della crescita umana: gli appelli alla giustizia, alla democrazia e al rispetto della persona dovrebbero poter essere vissuti in ugual modo fuori e dentro la chiesa:

il fatto che non sia una democrazia non significa che non possa valorizzare alcuni principi democratici essenziali e universalmente applicabili. La chiesa non è una democrazia, ma è una comunione di credenti. Il suo modello fondamentale è niente meno che la relazione di Gesù con i suoi apostoli. E questi non erano prìncipi, ma discepoli che non erano assoggettati ciecamente ad un monarca assoluto[12].


Note

[1] Con questa citazione del concilio di Trento, non intendo affermare che questa sia l’unica ermeneutica possibile di tale testo.

[2] In questo senso non sono d’accordo con la proposta di tradurre empowerment con impoteramento. Si tratta, piuttosto, di potenziamento di possibilità già presenti e non di istituzioni nuove.

[3] Restando all’Europa, cfr. https://www.ciase.frhttps://www.erzbistum-koeln.de/rat_und_hilfe/sexualisierte-gewalt/studien/unabhaengige-untersuchung/; https://www.erzbistum-koeln.de/rat_und_hilfe/sexualisierte-gewalt/studien/unabhaengige-untersuchung/. L’interesse di simili documenti sta anche nel fatto che essi sono stati commissionati dall’episcopato cattolico ad organi indipendenti.

[4] Cfr. https://www.vatican.va/resources/resources_rapporto-card-mccarrick_20201110_it.pdf.

[5] Non per niente, la tematica dell’accountability è presente anche a livello di riflessione sulla missione ecclesiale, in particolare laddove questa è concepita in modo globale e multilaterale (“da ogni luogo ad ogni luogo”): le figure ‘missionarie’, o ‘ministeriali’, devono essere fornite di accountability da parte di chi le invia e per chi le accoglie. Cfr. Mark Shaw and Wanjiru M. Gitau, “African Megachurches and Missions: Mavuno Church, Nairobi, and the Challenge of Accountability” in Dwight Baker, ed., Megachurch Accountability in Missions: Critical Assessment through Global Case Studies. New Haven: OMSC Publications, 2016: we should be “aware […] about this critical question of missionary accountability and the role of the sending churches and agencies in providing both support and accountability structures to ensure missionary effectiveness”. Le linee suggerite per tale affidabilità sono: a) la costruzione di relazioni positive tra la comunità che invia in missione, quella che riceve la missione e gli stessi missionari, b) l’attenzione al legame con la cultura locale e la capacità di integrare le differenze, c) la competenza teologica, educativa ed amministrativa dei missionari, d) la loro capacità di lavorare in team.

[6] Per una discussione più approfondita, cfr. Benjamin Chuka Osisioma, Accountability in the church, Presented at Conference of Chancellors, Registrars, and Legal Officers, Church of Nigeria (Anglican Communion), At Basilica of Grace, Diocese of Abuja, Gudu District, Apo, Abuja, 6 agosto 2013; consultabile online: https://www.academia.edu/4221114/Accountability_in_the_Church.

[7] Cfr. Nuala O’Loan, “Transparency, Accountability and the Exercise of Power in the Church of the Future,” in Studies: An Irish Quarterly Review 99, 395 (2010) 265-275

[8] Su quest’ultimo aspetto, cfr. Ben K. Agyei-Mensah, Accountability and internal control in religious organisations: a study of Methodist church Ghana, in African J. Accounting, Auditing and Finance 5 (2016/2) 95-112: “After studying the practices of the Catholic Church, Rev. Beal and Cusack (2008) said that the ability of Catholic dioceses, parishes and NFPOs to raise the revenues necessary to support the ministry programs through which they carry out their mission depends upon public confidence and public support. Public confidence can be won if there is proper accountability and good internal control procedures in place” (ivi, 96).

[9] Bisogna, in realtà, ricordare che la Santa Sede è stata spinta verso queste riforme da autorità finanziarie esterne.

[10] Cfr. Rhoderick John S. Abellanosa, Abuse, elitism and accountability: challenge to the Philippine Church, in Asia horizons 14 (2020/2) 361-380. Proprio tale articolo ricorda che in una chiesa pensata come elitaria esistono parecchi livelli di elites; quelli più evidenti sono: il clero rispetto al laicato, i vescovi rispetto ai presbiteri, i cardinali rispetto ai vescovi, rispetto a tutti gli altri rimane il papa. Proprio quest’ultimo sarebbe responsabile solo di fronte a Dio, cosa che in una prospettiva più corretta compete a tutti i battezzati. A parte le ultime due categorie, quelle precedenti fondano la loro diversità su una comprensione essenzialista del sacramento dell’ordine (cfr. CCC 1538).

[11] Karl Rahner, Il peccato nella Chiesa, in Guilherme Baraúna (ed.), La chiesa del Vaticano II, Vallecchi, Firenze 1965, 419-435, ha da tempo compendiato tale discussione teologica in un denso saggio.

[12] Abellanosa, Abuse, cit., 376.


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