Concilium

Massimo Faggioli – « La chiesa del futuro: prospettive storiche e sociologiche »

Massimo Faggioli

« La chiesa del futuro: prospettive storiche e sociologiche »


Concilium 2018-4. Kirche der Zukunft
Concilium 2018-4. The Church of the Future
Concilium 2018-4. La Iglesia del futuro
Concilium 2018-4. L’Église du futur
Concilium 2018-4. La Chiesa del futuro
Concilium 2018-4. A Igreja do Futuro

Thierry-Marie Courau OP, Stefanie Knauss et Enrico Galavotti (eds)

Introduzione

In un periodo in cui continuano ad emergere narrazioni diverse e talvolta contrastanti sul passato del cattolicesimo, a seconda delle voci e dei luoghi da cui emergono queste narrazioni, è necessario interrogarsi sulla chiesa del futuro. Ma ogni riflessione sulla questione della chiesa del futuro, ovvero dei possibili sviluppi dell’oggetto chiesa nel tempo a venire, deve ancorarsi ad una analisi storica. Per una comunità e un’istituzione come la chiesa l’elemento della tradizione è ancora dirimente, e nonostante tradizione e storia non si identifichino, la tradizione non può essere compresa – sia retrospettivamente nel passato che prospettivamente nel futuro – senza la storia. Alcune questioni si impongono come preliminari.

1. Prospettiva storica: dal Vaticano II al difficile inizio del secolo XXI

La prima questione è di inquadramento della chiesa contemporanea in un arco storico ampio. La periodizzazione della chiesa contemporanea non può prescindere dall’evento del concilio Vaticano II (1962-1965): la chiesa di oggi vive di una cultura religiosa e di una teologia conciliari post-conciliari che hanno caratteristiche diverse da quelle pre-conciliari1. Ma la questione della periodizzazione deve affrontare la questione del rapporto tra quell’evento periodizzante e il paradigma precedente quello tridentino: ovvero, come ha sottolineato Paolo Prodi, la questione è se il concilio Vaticano II ha aperto una nuova epoca, quella nella quale la chiesa si trova oggi, oppure se il concilio Vaticano II ha soltanto chiuso il periodo tridentino precedente, inaugurando non un’epoca nuova ma solo una transizione verso un nuovo periodo non ancora realizzatosi2.

Una seconda questione attiene alla pluralità di paradigmi. Se per il paradigma tridentino si può parlare di una chiesa che presupponeva almeno in teoria una forte unitarietà e uniformità di modelli sociali e culturali, per il periodo post-conciliare si deve iniziare a parlare di una pluriformità teologica, culturale e sociale non solo de facto, ma anche de iure. La chiesa post-conciliare consiste di modelli diversi o di diversità che si amplificano: tra chiese diverse in nazioni diverse, tra regioni diverse all’interno di una stessa nazione, tra comunità ecclesiali diverse all’interno di una stessa chiesa locale3.

Una terza questione storica necessaria ad impostare una riflessione sulla chiesa del futuro riguarda la periodizzazione del periodo post-conciliare, ovvero se vi siano e quali siano, nella storia della chiesa a partire dall’inizio dell’evento conciliare con la sua convocazione da parte di Giovanni XXIII quasi sessanta anni fa, periodi diversi caratterizzati da caratteristiche diverse. Da questo punto di vista, ci si può chiedere se il cambio di secolo non abbia coinciso con un nuovo periodo all’interno della storia della recezione conciliare. In modi diversi e su piani diversi, il venire alla luce del sex abuse crisis negli Stati Uniti tra 2001 e 2002 e le guerre causate dagli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001 hanno contribuito all’emergere di un nuovo tipo di consapevolezza nel rapporto tra religioni e politica globale e quindi anche una diversa consapevolezza nella chiesa e della chiesa. Non si tratta solo di un nuovo secolo dai tratti diversi da quelli attesi ed espressi dal cattolicesimo ufficiale (la lettera apostolica di Giovanni Paolo II Tertio Millennio Adveniente, 1994, e il grande Giubileo del 2000), ma si tratta anche di un diverso post-concilio, o di un “secondo post-concilio” che si apre con la transizione dalla generazione dei leader conciliari alla generazione dei cattolici nati e cresciuti nel post-concilio. Tra le caratteristiche di questa nuova consapevolezza, vi è un diverso rapporto col mondo contemporaneo – dal nuovo rapporto tra chiesa e secolarità del Vaticano II al mondo secolarizzato e post-secolare del secolo XXI4.

2. Tra declino sociologico, de-istituzionalizzazione e ripresa neo-tradizionalista

La situazione della chiesa attuale è caratterizzata da alcune caratteristiche consolidatesi nel periodo post-conciliare, che qui è possibile tratteggiare solo in modo generale. È evidente un declino sociologico della chiesa nell’emisfero nord-occidentale: un calo nella percentuale dei battezzati e dei messalizzanti nelle chiese in Europa e in Nord America – un calo che nel Nord America specialmente è mascherato dall’influsso di immigrati cattolici in particolare dall’America centrale e meridionale (e in misura minore anche in Europa dall’afflusso di cristiani emigrati o rifugiati dall’Europa orientale, Medio Oriente, e Africa). Questo declino comporta un minore influsso della chiesa nella cultura popolare e nella legislazione, una dispersione politica dell’elettorato cattolico in partiti e movimenti diversi, e un indebolimento delle istituzioni cattoliche (scuole, ospedali, associazioni, partiti e sindacati) nei paesi in cui il sistema del welfare non deve contare sulle istituzioni cattoliche sovvenzionate dallo stato. Ancora più visibile è la riduzione del numero dei ministri ordinati del culto e dei membri di ordini religiosi maschili e femminili, rispetto alla prima metà del secolo XX.

Questo ha significato una ridistribuzione degli incarichi di leadership nella chiesa: a favore del diaconato permanente maschile ripristinato dal Vaticano II (con un grande numero di diaconi specialmente in alcuni paesi, come negli Stati Uniti), a favore di un laicato maschile e femminile (formato in modo professionale e non), e a favore di un nuovo movimentismo laicale. Ma questa ridistribuzione è avvenuta in assenza di una reale discussione sul futuro della ministerialità (ordinata e non ordinata, femminile e maschile) nella chiesa, in difesa di un apparentemente inalterato modello di ministerialità sacerdotale e sacrale, maschile e celibataria. Si è inaugurato un pluralismo di ministeri e di figure ministeriali in gran parte extra legem, forzato dall’emergenza e reso possibile (quando possibile) dalle risorse finanziarie di chiese locali in grado di assumere personale laicale (maschile e femminile) in posizioni di cura pastorale che in altri tempi erano affidate esclusivamente al clero.

Insieme a questa situazione di declino sociologico e di ridefinizione dei profili della ministerialità va considerata a livello globale la persistenza istituzionale e “politica” in senso lato della chiesa e delle chiese5. Il volto post-conciliare e contemporaneo della chiesa è sempre più quello di una chiesa attiva sul fronte dei diritti umani (degli esseri umani in quanto tali, non in quanto appartenenti a un particolare chiesa o comunità religiosa) e di un welfare state integrativo delle lacune create dalle politiche neo-liberali, sia a livello di advocacy del papato e della Santa Sede, sia a livello di episcopati, clero, e associazioni locali.

Questo profilo movimentista della chiesa attuale deve conciliarsi con una grande diversificazione dei modelli di chiesa che risentono dei diversi modelli di rapporto tra stato e chiesa (nel continuum che va dal modello concordatario classico della “chiesa di stato” a quello della chiesa clandestina e perseguitata, passando per i diversi modelli separazionisti). Questa diversità di modelli contribuisce a configurare diversi stili di chiesa: da uno stile di chiesa “culture war” combattiva con mezzi legali sul fronte delle questioni bioetiche sensibili (come quella negli Stati Uniti) a quella dialogica con la laicità repubblicana (come in Francia) e del patriottismo costituzionale (come in Germania), a quella alle prese con la mediazione per l’apertura di una nuova fase nei rapporti tra Santa Sede e governo, con importanti riflessi sugli equilibri interni alla chiesa locale (come nella Repubblica Popolare Cinese).

Questi modelli istituzionali sono tutti sotto pressione da parte di un cristianesimo e una religione sempre meno dipendenti dall’istituzione religiosa. La “age of anger” contemporanea è anche un fenomeno religioso, e una fase successiva della “revanche de Dieu” di cui aveva parlato Gilles Kepel nei primi anni novanta6. Nell’ultimo quindicennio specialmente a partire dal cattolicesimo anglofono è iniziata una ripresa neo-tradizionalista, segno di un riflusso anti-conciliare in occidente: in parte riequilibrio delle spinte modernizzatrici e funzionaliste del periodo post-conciliare e della generazione dei baby boomers, in parte reazione alla spinta espansiva della secolarizzazione e dell’Islam in Europa e in Occidente.

3. Prospettive di tendenza: dottrina – vita – culto

Uno dei modi di analizzare le possibili prospettive di tendenza è di adottare la triade dottrina-vita-culto (dal paragrafo 8 della costituzione del concilio Vaticano II sulla rivelazione, Dei Verbum), i tre modi della tradizione. La questione centrale è tornata ad essere quella di diversi modi di intendere la tradizione, da cui deriva la rinnovata centralità di Dei Verbum nel dibattito sulla recezione conciliare7.

Dal punto di vista dottrinale, la transizione dai pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI a quello di Francesco ha significato una sanzione ufficiale, per via simbolica e istituzionale, della transizione (già avviata a livello culturale e teologico) da un modello romano, europeo, e occidentale a un modello policentrico non più dominato da un canone storico-geografico discendente dalla cristianità medievale. Questa transizione ha già un impatto sull’esegesi, la cristologia, l’ecclesiologia, la teologia morale e sulle questioni di genere e sui futuri assetti della vita ministeriale nella chiesa globale. Ma il futuro dottrinale del cattolicesimo dipende dalla soluzione che verrà data dal magistero e dalla teologia alla questione del concilio Vaticano II come evento che ha segnato un passaggio; in altre parole, dipende dalla strada che il cattolicesimo globale prenderà dopo il pontificato di Francesco, il quale ha interpretato in modo evidente un’interpretazione aperta del concilio.

Molto più evidenti e meno dipendenti dalla politica dottrinale, al momento attuale, paiono le tendenze in atto dal punto di vista della vita della chiesa e del culto. Dal punto di vista della vita della chiesa, le prospettive di tendenza suggeriscono una nuova stagione nei rapporti tra vocazione al ministero e stati di vita, in direzione di un superamento del modello binario tra ministero ordinato sacerdotale e stato di vita laicale.

La chiesa ha già recuperato in forme diverse e con iniziali riconoscimenti (come il diaconato permanente) una pluralità di vocazioni e ministeri più fedele alla chiesa delle origini e meno debitrice nei confronti dell’ecclesiologia del secondo millennio. La ministerialità degli ordini religiosi maschili e femminili del secondo millennio è in via di ridistribuzione all’interno di altre forme di vita comunitaria e associata (associazioni e movimenti) che prevedono una maggiore integrazione, non una separazione tra vocazione ecclesiale e vita laicale. Un discorso più ampio richiede la questione della governance ecclesiale: centro e periferie, popolo di Dio e ministeri8. Non v’è dubbio che una delle traiettorie ecclesiologiche a lungo termine per la chiesa cattolica è il modello sinodale: nella chiesa ci sono alcune questioni che meritano di essere oggetto di un ampio processo di riflessione e discernimento che coinvolgano il clero e i laici, in particolare donne. Durante i primi anni del suo pontificato, papa Francesco ha decentrato ai vescovi locali l’autorità di giudice per i processi brevi di nullità matrimoniale e alle conferenze episcopali nazionali la traduzione dei testi liturgici, salva la confirmatio (e non più la recognitio) da parte della Sede apostolica. Ma è una sfida che va oltre la componente episcopale. La componente non episcopale della chiesa cattolica (preti, monaci e fratelli/sorelle in ordini religiosi, laici e laiche) ha ricevuto sempre meno opportunità di esprimersi su alcune questioni urgenti: a una maggiore urgenza di consultare la chiesa è corrisposta finora una crescente indisponibilità da parte della chiesa istituzionale.

Non è un problema dipendente solamente dalle politiche dottrinali post-conciliari. I dibattiti e i documenti finali approvati al concilio Vaticano II inquadrarono la vita della chiesa in termini fortemente istituzionali: una chiesa la cui leadership era clericale, la cui articolazione era più territoriale che personale, e la cui posizione pubblica era sia partner che controparte di lo stato nazione che tra il XIX e il XX secolo ha sostituito gli imperi. È quindi un’istituzione che al Vaticano II stava cambiando, ma il cui ruolo non era del tutto diverso dal ruolo che l’istituzione aveva per i membri della Chiesa nei secoli precedenti. Sembra necessario riscoprire il complesso compenetrarsi di aspetti istituzionali e comunionali della chiesa cattolica. Una chiesa cattolica puramente comunionale e congregazionale è qualcosa che non è adeguato all’esperienza concreta e storica dei membri della Chiesa cattolica romana: si pensi alla necessità di vigilare su esperienze di abusi, sessuali e non, all’interno della chiesa. Questo non è un invito a mantenere lo status quo ovvero a sovra-istituzionalizzare la vita della Chiesa. La communio ecclesiarum è ora una dimensione più importante di prima, non solo per la magnitudo della globalizzazione della Chiesa cattolica, ma anche per la qualità di questa globalizzazione. È il volgersi della chiesa cattolica verso il sud del mondo, ma anche verso un mondo che è più urbanizzato di prima, dove la qualità esistenziale di una vita di fede è vissuta soprattutto in contesti urbani. L’esperienza cosmopolita di papa Francesco, il primo papa nato in una megalopoli del XX secolo, esprime la transizione del cattolicesimo a una nuova comprensione della compenetrazione di religiosi e secolari, di globale e locale, in una molteplicità di diversità.

Se è chiara la necessità del rafforzamento del livello medio dell’autorità ecclesiale tra il locale (diocesano) e l’universale (Roma), cioè il livello continentale e nazionale, vi è un aspetto cruciale per le future relazioni tra centro e periferia che il Vaticano II non ha affrontato, e sul quale il dibattito teologico post-Vaticano II è stato cauto se non circospetto: la necessità di immaginare il futuro della dimensione conciliare della chiesa cattolica, cioè in una chiesa dove i vescovi con diritto di partecipazione e di voto in un consiglio generale sono più di cinquemila. Un ulteriore problema è che quasi la metà di tutti i vescovi cattolici oggi sono vescovi o emeriti titolari. Non è solo una questione di problemi logistici di un concilio con migliaia di partecipanti (ora sarebbero quasi il doppio rispetto ai vescovi al Vaticano II) e delle soluzioni tecnologiche a questo problema, ma anche una questione di fare in modo che il concilio rimanga anche un atto spirituale e sacramentale che non può essere ridotto a una videoconferenza, a un “WikiCouncil” o un “concilium cyberspatiale primum”. È essenzialmente una questione di teologia della rappresentanza ecclesiale, e non di giurisprudenza9.

Questa questione di rappresentanza e rappresentazione ecclesiale va compresa nel quadro del sovvertimento del concetto sociale, politico ma anche teologico di “popolo”. Il XIX e XX secolo fu l’epoca della mobilitazione delle masse nei nuovi stati nazionali così come nella Chiesa. Quell’età è stata sostituita da un corpo sociale ed ecclesiale molto più frammentato. Era facile identificare l’élite cattolica con il clero, gli intellettuali cattolici e i leader politici cattolici; era consueto vedere nella leadership laica nella chiesa cattolica i resti di una élite laica cattolica impegnata nella politica, nel mondo degli affari, nella cultura e nel mondo accademico. Ora il ruolo di guida del clero è in profonda difficoltà, e ci sono leader laici cattolici la cui voce conta più di molti vescovi e cardinali insieme, ma non fanno più parte dell’antica élite laica cattolica. È uno degli effetti della crisi della teologia del laicato novecentesca10. D’altra parte, “il popolo” per la chiesa è ancora importante ma molto più come idea teologica (il popolo di Dio) che come realtà omogenea e socialmente tangibile. Frammentato ideologicamente, socialmente ed etnicamente, il cattolicesimo globalizzato deve fare i conti con la necessità di ridefinire chi e il suo popolo e chi sono i suoi popoli.

La teologia del sacerdozio e il modo in cui il sacerdozio viene formato e selezionato non sono cambiati in questi ultimi cinquant’anni, è in generale il vero significato della leadership della chiesa e del popolo della chiesa che è cambiato in modo significativo. Basterà qui notare la crisi profonda e probabilmente irrecuperabile dell’identificazione tra clero e leadership della chiesa. Il secondo millennio ha visto questa identificazione essere creata a partire dalla “rivoluzione gregoriana” del secolo XI. Il terzo millennio probabilmente si sbarazzerà di questa identificazione: in parte riconoscendo la teologia vissuta delle nostre comunità, parlandone discutendo teologicamente ed ecclesiologicamente la necessità di una ridefinizione della leadership e del ministero della Chiesa11.

Infine, sulla questione del culto ci si deve chiedere se non siamo in presenza di una nuova fase del movimento liturgico, alla luce del carattere divisivo della questione liturgica che nasce dalla riduzione della teologia della tradizione a tradizionalismo. Il motu proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI (2007), documento che ha liberalizzato l’uso della liturgia romana delle celebrazioni precedenti le riforme avviate dal concilio Vaticano II (1962-65), ha cambiato significativamente la situazione e quindi anche la questione del tradizionalismo liturgico nella chiesa cattolica. Summorum Pontificum ha rafforzato il mondo preesistente e sociologicamente limitato del tradizionalismo liturgico e lo ha proiettato sul più vasto mondo della chiesa cattolica, specialmente nei contesti di lingua inglese. Ha dato legittimità teologica a punti di vista tradizionalisti sulle riforme liturgiche del Vaticano II. Ha accresciuto la visibilità della liturgia tradizionalista negli spazi virtuali e non solo della Chiesa cattolica. Questo ha avuto un impatto significativo su parti consistenti del cattolicesimo romano contemporaneo e di quello futuro, soprattutto sui giovani cattolici impegnati e sui cattolici born again o convertiti di recente da altre tradizioni cristiane (specialmente dalle chiese della Riforma protestante), nonché sui seminaristi e giovani sacerdoti.

Vi è un legame tra il risorgente tradizionalismo liturgico e la crisi della globalizzazione e dell’universalismo all’interno del cattolicesimo: il Vaticano II e la teologia della liturgia del concilio sono parte di questa reazione contro una inculturazione che non sia la cultura del cattolicesimo latino medievale e controriformistico. La rinascita del tradizionalismo è tipica di tutte le religioni nell’era del “post-secolare”, e il cattolicesimo non fa eccezione: il neo-tradizionalismo cattolico va ben al di là dei confini storico-culturali in cui nasce lo scisma di Marcel Lefebvre subito dopo il Vaticano II, ed è possibile che con Summorum Pontificum si sia aperta una nuova fase nella storia del movimento liturgico. La vera questione è quella del nesso tra il tradizionalismo liturgico e gli effetti negativo sull’accettazione di altri documenti del Vaticano II, come quello sull’ecumenismo, sul dialogo interreligioso e sull’attività missionaria della Chiesa, ma anche sulla teologia della rivelazione e sull’ecclesiologia.

4. La “Weltkirche” post-conciliare e la reazione neo-tradizionalista

Nonostante i legittimi rimproveri della teologia conciliare per il silenziamento o la riduzione degli impulsi conciliari da parte dell’istituzione ecclesiastica, è difficile negare che la chiesa cattolica attuale sia in larga misura la chiesa del Vaticano II: il nuovo establishment cattolico è frutto del Vaticano II. Questo establishment si trova di fronte ad una reazione neo-tradizionalista che non è una rivoluzione, ma neppure una effimera rivolta.

La chiesa del futuro dovrà fare i conti con la reazione neo-tradizionalista che si è fatta evidente durante il pontificato di Benedetto XVI e di Francesco. È una reazione che ha la sua capitale nel cattolicesimo anglofono, animata da componenti diverse in relazioni complesse tra di loro. C’è la componente teologica, quella del progetto teologico post-liberale, che in America trova la sua voce in uno degli osservatori ecumenici al Vaticano II, George Lindbeck (1923-2018), che dalla chiesa luterana si espande al cattolicesimo dove trova dimora più stabile. Una seconda componente è quella della evangelicalizzazione del cattolicesimo in risposta alla complessità della teologia conciliare e post-conciliare e i suoi “cedimenti” alla modernità secolare. Una terza componente è quella di un cattolicesimo della rivolta conservatrice anti-istituzionale che vede nell’establishment cattolico – istituzionale e culturale – e nelle sue debolezze (nei confronti della crisi degli abusi sessuali, della secolarizzazione, dell’Islam) un establishment creato dal concilio e dal post-concilio, e che quindi va abbattuto e ricostruito una volta che le nuove leve clericali, formate dalla cultura neo-tradizionalista dei seminari, avranno sostituito la generazione dei preti e vescovi del secolo XX. Una quarta componente è la critica cattolica della globalizzazione come globalismo, che prende la forma di un anti-internazionalismo che sovente diventa etno-nazionalismo e nativismo. È la crisi dell’internazionalismo cattolico novecentesco, eredità dell’ultramontanismo e papalismo ottocentesco. Questo anti-internazionalismo cattolico assume la superiorità culturale e teologica della cultura dell’Europa della cristianità medievale e dell’occidente cristiano, contro la globalizzazione economica e finanziaria ma anche contro la globalizzazione del cattolicesimo.

Questa reazione neo-tradizionalista, in forme varie, è un fenomeno minoritario ma che difficilmente verrà riassorbito senza sussulti: il cattolicesimo conciliare mainstream non è più la forma del cattolicesimo romano, o è un mainstream che esiste ancora ma soltanto come una delle possibili forme del cattolicesimo globale contemporaneo. In questo frangente il processo di recezione conciliare incontra una resistenza che si è fatta più forte nel corso dell’ultimo quindicennio ed è diventata visibile per opposizione al pontificato di Francesco.

Non è chiaro se questo passaggio della recezione conciliare significherà una chiesa permanentemente divisa, con quale tipo di divisione interna, oppure una chiesa proiettata all’indietro verso una revisione della teologia conciliare. Quest’ultimo scenario è intellettualmente difficilmente immaginabile, dato il carattere fondativo della teologia conciliare per tutto il magistero e la teologia post-conciliari.

Conclusione

Il pontificato di Francesco ha riaperto la questione del futuro della chiesa da molti punti di vista: da quello della globalizzazione e diversificazione del cattolicesimo, a quello del rapporto con la tradizione. La chiesa è “in uscita” non solo dal centro alle periferie, ma anche in uscita da paradigmi storico-culturali che erano stati assunti come definitivi. È uno scenario in movimento che per essere interpretato richiede una visione storica di lungo periodo assieme a un approccio capace di discernere la nuova dimensione globale che rappresenta la vera incognita rispetto al futuro della chiesa.

Sommario

L’articolo tenta di analizzare alcune linee di tendenza per la chiesa del futuro partendo dalle traiettorie aperte dal concilio Vaticano II e riprese di recente da papa Francesco. Pur tra situazioni locali diverse, alcune questioni sono comuni a tutta la chiesa globale: una concezione della leadership non isolata al ministero ordinato; una visione della ministerialità della chiesa come servizio; il ruolo delle donne nella comunità ecclesiale. Gli ultimi anni hanno messo in evidenza due spinte contrastanti: una globalizzazione della chiesa e allo stesso tempo all’interno della chiesa anche una crisi della globalizzazione (religiosa e non solo) sotto forma del ritorno di fenomeni di reazione neo-tradizionalista, in materia liturgica e non solo, che sarebbe inadeguato sottovalutare e considerare come sintomi passeggeri destinati a scomparire in breve tempo.

Autore

Membro della Fondazione Giovanni XXIII di Bologna tra 1996 e 2008, è docente ordinario nel dipartimento di teologia e scienze religiose a Villanova University (Philadelphia, USA). Tra i suoi libri: The Rising Laity. Ecclesial Movements since Vatican II (Paulist Press, 2016); La onda larga del Vaticano II. Por un nuevo posconcilio (Universidad Alberto Hurtado: Santiago de Chile, 2017); Cattolicesimo, nazionalismo, cosmopolitismo. Chiesa, società e politica dal Vaticano II a papa Francesco. (Roma: Armando Editore, 2018).

Contatto

Villanova University Dept. of Theology and Religious Studies SAC 203 800 Lancaster Avenue Villanova, PA 19085 (USA) massimo.faggioli@villanova.edu

Notes

  1. Cf. Storia del concilio Vaticano II, diretta da G. Alberigo, ed. italiana a cura di A. Melloni, 5 volumi, Bologna: Il Mulino, 1995-2001 (tradotta in inglese, francese, tedesco, castigliano, portoghese, russo); John W. O’Malley, What Happened at Vatican II, Cambridge MA: Harvard UP, 2008 (tradotta in italiano, francese, spagnolo, portoghese, polacco, magiaro).
  2. Cf. P. Prodi, Il paradigma tridentino. Un’epoca della storia della Chiesa, Brescia: Morcelliana, 2010; P. Prodi, ‘Senza Stato né Chiesa. L’Europa a cinquecento anni dalla Riforma’, ‘Il Mulino’, 1/ 2017, p. 7-23 (traduzione inglese ‘Europe in the Age of the Reformations. The Modern State and Confessionalization’, The Catholic Historical Review, vol. 103, n. 1, Winter 2017, p. 1-19).
  3. Cf. Zeiten der pastoralen Wende? Studien zur Rezeption des Zweiten Vatikanums – Deutschland und die USA im Vergleich, hg. v. A. Henkelmann / G. Sonntag, Münster: Aschendorff 2015.
  4. Cf. C. Taylor, A Secular Age, Cambridge MA: Harvard UP, 2007.
  5. Cf. D. Hollenbach, The Global Face of Public Faith: Politics, Human Rights, and Christian Ethics, Washington, D.C.: Georgetown UP, 2003.
  6. Cf. G. Kepel, La Revanche de Dieu. Chrétiens, juifs et musulmans à la reconquête du monde, Paris: Seuil, 1991; P. Mishra, Age of Anger: A History of the Present, New York: Farrar, Straus and Giroux, 2017.
  7. Cf. C. Theobald, La Réception du Concile Vatican II. Vol. I: Accéder à la source, Paris: Cerf, 2009; C. Theobald, “Dans les traces…” de la constitution “Dei Verbum” du concile Vatican II: Bible, théologie et pratiques de lecture, Paris: Cerf, 2009.
  8. Un ampio spettro di proposte (30 capitoli di 30 autori diversi provenienti da tutto il mondo), La riforma e le riforme nella chiesa, eds. A. Spadaro e C.M. Galli, Brescia: Queriniana, 2016 (traduzione spagnola Bilbao: Sal Terrae, 2017; traduzione inglese New York: Paulist Press, 2017).
  9. Cf. S. Dianich, “Primato e collegialità episcopale: problemi e prospettive,” Spadaro, La riforma e le riforme nella Chiesa, ibid., p. 271-292.
  10. Cf. M. Vergottini, Il cristiano testimone. Congedo dalla teologia del laicato. Prefazione di Franco Giulio Brambilla, Bologna: EDB, 2017.
  11. Cf. A Church with Open Doors: Catholic Ecclesiology for the Third Millennium, eds. R.R. Gaillardetz and E.P. Hahnenberg, Collegeville MN: Liturgical Press, 2015.

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Introduzione

In un periodo in cui continuano ad emergere narrazioni diverse e talvolta contrastanti sul passato del cattolicesimo, a seconda delle voci e dei luoghi da cui emergono queste narrazioni, è necessario interrogarsi sulla chiesa del futuro. Ma ogni riflessione sulla questione della chiesa del futuro, ovvero dei possibili sviluppi dell’oggetto chiesa nel tempo a venire, deve ancorarsi ad una analisi storica. Per una comunità e un’istituzione come la chiesa l’elemento della tradizione è ancora dirimente, e nonostante tradizione e storia non si identifichino, la tradizione non può essere compresa – sia retrospettivamente nel passato che prospettivamente nel futuro – senza la storia. Alcune questioni si impongono come preliminari.

1. Prospettiva storica: dal Vaticano II al difficile inizio del secolo XXI

La prima questione è di inquadramento della chiesa contemporanea in un arco storico ampio. La periodizzazione della chiesa contemporanea non può prescindere dall’evento del concilio Vaticano II (1962-1965): la chiesa di oggi vive di una cultura religiosa e di una teologia conciliari post-conciliari che hanno caratteristiche diverse da quelle pre-conciliari1. Ma la questione della periodizzazione deve affrontare la questione del rapporto tra quell’evento periodizzante e il paradigma precedente quello tridentino: ovvero, come ha sottolineato Paolo Prodi, la questione è se il concilio Vaticano II ha aperto una nuova epoca, quella nella quale la chiesa si trova oggi, oppure se il concilio Vaticano II ha soltanto chiuso il periodo tridentino precedente, inaugurando non un’epoca nuova ma solo una transizione verso un nuovo periodo non ancora realizzatosi2.

Una seconda questione attiene alla pluralità di paradigmi. Se per il paradigma tridentino si può parlare di una chiesa che presupponeva almeno in teoria una forte unitarietà e uniformità di modelli sociali e culturali, per il periodo post-conciliare si deve iniziare a parlare di una pluriformità teologica, culturale e sociale non solo de facto, ma anche de iure. La chiesa post-conciliare consiste di modelli diversi o di diversità che si amplificano: tra chiese diverse in nazioni diverse, tra regioni diverse all’interno di una stessa nazione, tra comunità ecclesiali diverse all’interno di una stessa chiesa locale3.

Una terza questione storica necessaria ad impostare una riflessione sulla chiesa del futuro riguarda la periodizzazione del periodo post-conciliare, ovvero se vi siano e quali siano, nella storia della chiesa a partire dall’inizio dell’evento conciliare con la sua convocazione da parte di Giovanni XXIII quasi sessanta anni fa, periodi diversi caratterizzati da caratteristiche diverse. Da questo punto di vista, ci si può chiedere se il cambio di secolo non abbia coinciso con un nuovo periodo all’interno della storia della recezione conciliare. In modi diversi e su piani diversi, il venire alla luce del sex abuse crisis negli Stati Uniti tra 2001 e 2002 e le guerre causate dagli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001 hanno contribuito all’emergere di un nuovo tipo di consapevolezza nel rapporto tra religioni e politica globale e quindi anche una diversa consapevolezza nella chiesa e della chiesa. Non si tratta solo di un nuovo secolo dai tratti diversi da quelli attesi ed espressi dal cattolicesimo ufficiale (la lettera apostolica di Giovanni Paolo II Tertio Millennio Adveniente, 1994, e il grande Giubileo del 2000), ma si tratta anche di un diverso post-concilio, o di un “secondo post-concilio” che si apre con la transizione dalla generazione dei leader conciliari alla generazione dei cattolici nati e cresciuti nel post-concilio. Tra le caratteristiche di questa nuova consapevolezza, vi è un diverso rapporto col mondo contemporaneo – dal nuovo rapporto tra chiesa e secolarità del Vaticano II al mondo secolarizzato e post-secolare del secolo XXI4.

2. Tra declino sociologico, de-istituzionalizzazione e ripresa neo-tradizionalista

La situazione della chiesa attuale è caratterizzata da alcune caratteristiche consolidatesi nel periodo post-conciliare, che qui è possibile tratteggiare solo in modo generale. È evidente un declino sociologico della chiesa nell’emisfero nord-occidentale: un calo nella percentuale dei battezzati e dei messalizzanti nelle chiese in Europa e in Nord America – un calo che nel Nord America specialmente è mascherato dall’influsso di immigrati cattolici in particolare dall’America centrale e meridionale (e in misura minore anche in Europa dall’afflusso di cristiani emigrati o rifugiati dall’Europa orientale, Medio Oriente, e Africa). Questo declino comporta un minore influsso della chiesa nella cultura popolare e nella legislazione, una dispersione politica dell’elettorato cattolico in partiti e movimenti diversi, e un indebolimento delle istituzioni cattoliche (scuole, ospedali, associazioni, partiti e sindacati) nei paesi in cui il sistema del welfare non deve contare sulle istituzioni cattoliche sovvenzionate dallo stato. Ancora più visibile è la riduzione del numero dei ministri ordinati del culto e dei membri di ordini religiosi maschili e femminili, rispetto alla prima metà del secolo XX.

Questo ha significato una ridistribuzione degli incarichi di leadership nella chiesa: a favore del diaconato permanente maschile ripristinato dal Vaticano II (con un grande numero di diaconi specialmente in alcuni paesi, come negli Stati Uniti), a favore di un laicato maschile e femminile (formato in modo professionale e non), e a favore di un nuovo movimentismo laicale. Ma questa ridistribuzione è avvenuta in assenza di una reale discussione sul futuro della ministerialità (ordinata e non ordinata, femminile e maschile) nella chiesa, in difesa di un apparentemente inalterato modello di ministerialità sacerdotale e sacrale, maschile e celibataria. Si è inaugurato un pluralismo di ministeri e di figure ministeriali in gran parte extra legem, forzato dall’emergenza e reso possibile (quando possibile) dalle risorse finanziarie di chiese locali in grado di assumere personale laicale (maschile e femminile) in posizioni di cura pastorale che in altri tempi erano affidate esclusivamente al clero.

Insieme a questa situazione di declino sociologico e di ridefinizione dei profili della ministerialità va considerata a livello globale la persistenza istituzionale e “politica” in senso lato della chiesa e delle chiese5. Il volto post-conciliare e contemporaneo della chiesa è sempre più quello di una chiesa attiva sul fronte dei diritti umani (degli esseri umani in quanto tali, non in quanto appartenenti a un particolare chiesa o comunità religiosa) e di un welfare state integrativo delle lacune create dalle politiche neo-liberali, sia a livello di advocacy del papato e della Santa Sede, sia a livello di episcopati, clero, e associazioni locali.

Questo profilo movimentista della chiesa attuale deve conciliarsi con una grande diversificazione dei modelli di chiesa che risentono dei diversi modelli di rapporto tra stato e chiesa (nel continuum che va dal modello concordatario classico della “chiesa di stato” a quello della chiesa clandestina e perseguitata, passando per i diversi modelli separazionisti). Questa diversità di modelli contribuisce a configurare diversi stili di chiesa: da uno stile di chiesa “culture war” combattiva con mezzi legali sul fronte delle questioni bioetiche sensibili (come quella negli Stati Uniti) a quella dialogica con la laicità repubblicana (come in Francia) e del patriottismo costituzionale (come in Germania), a quella alle prese con la mediazione per l’apertura di una nuova fase nei rapporti tra Santa Sede e governo, con importanti riflessi sugli equilibri interni alla chiesa locale (come nella Repubblica Popolare Cinese).

Questi modelli istituzionali sono tutti sotto pressione da parte di un cristianesimo e una religione sempre meno dipendenti dall’istituzione religiosa. La “age of anger” contemporanea è anche un fenomeno religioso, e una fase successiva della “revanche de Dieu” di cui aveva parlato Gilles Kepel nei primi anni novanta6. Nell’ultimo quindicennio specialmente a partire dal cattolicesimo anglofono è iniziata una ripresa neo-tradizionalista, segno di un riflusso anti-conciliare in occidente: in parte riequilibrio delle spinte modernizzatrici e funzionaliste del periodo post-conciliare e della generazione dei baby boomers, in parte reazione alla spinta espansiva della secolarizzazione e dell’Islam in Europa e in Occidente.

3. Prospettive di tendenza: dottrina – vita – culto

Uno dei modi di analizzare le possibili prospettive di tendenza è di adottare la triade dottrina-vita-culto (dal paragrafo 8 della costituzione del concilio Vaticano II sulla rivelazione, Dei Verbum), i tre modi della tradizione. La questione centrale è tornata ad essere quella di diversi modi di intendere la tradizione, da cui deriva la rinnovata centralità di Dei Verbum nel dibattito sulla recezione conciliare7.

Dal punto di vista dottrinale, la transizione dai pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI a quello di Francesco ha significato una sanzione ufficiale, per via simbolica e istituzionale, della transizione (già avviata a livello culturale e teologico) da un modello romano, europeo, e occidentale a un modello policentrico non più dominato da un canone storico-geografico discendente dalla cristianità medievale. Questa transizione ha già un impatto sull’esegesi, la cristologia, l’ecclesiologia, la teologia morale e sulle questioni di genere e sui futuri assetti della vita ministeriale nella chiesa globale. Ma il futuro dottrinale del cattolicesimo dipende dalla soluzione che verrà data dal magistero e dalla teologia alla questione del concilio Vaticano II come evento che ha segnato un passaggio; in altre parole, dipende dalla strada che il cattolicesimo globale prenderà dopo il pontificato di Francesco, il quale ha interpretato in modo evidente un’interpretazione aperta del concilio.

Molto più evidenti e meno dipendenti dalla politica dottrinale, al momento attuale, paiono le tendenze in atto dal punto di vista della vita della chiesa e del culto. Dal punto di vista della vita della chiesa, le prospettive di tendenza suggeriscono una nuova stagione nei rapporti tra vocazione al ministero e stati di vita, in direzione di un superamento del modello binario tra ministero ordinato sacerdotale e stato di vita laicale.

La chiesa ha già recuperato in forme diverse e con iniziali riconoscimenti (come il diaconato permanente) una pluralità di vocazioni e ministeri più fedele alla chiesa delle origini e meno debitrice nei confronti dell’ecclesiologia del secondo millennio. La ministerialità degli ordini religiosi maschili e femminili del secondo millennio è in via di ridistribuzione all’interno di altre forme di vita comunitaria e associata (associazioni e movimenti) che prevedono una maggiore integrazione, non una separazione tra vocazione ecclesiale e vita laicale. Un discorso più ampio richiede la questione della governance ecclesiale: centro e periferie, popolo di Dio e ministeri8. Non v’è dubbio che una delle traiettorie ecclesiologiche a lungo termine per la chiesa cattolica è il modello sinodale: nella chiesa ci sono alcune questioni che meritano di essere oggetto di un ampio processo di riflessione e discernimento che coinvolgano il clero e i laici, in particolare donne. Durante i primi anni del suo pontificato, papa Francesco ha decentrato ai vescovi locali l’autorità di giudice per i processi brevi di nullità matrimoniale e alle conferenze episcopali nazionali la traduzione dei testi liturgici, salva la confirmatio (e non più la recognitio) da parte della Sede apostolica. Ma è una sfida che va oltre la componente episcopale. La componente non episcopale della chiesa cattolica (preti, monaci e fratelli/sorelle in ordini religiosi, laici e laiche) ha ricevuto sempre meno opportunità di esprimersi su alcune questioni urgenti: a una maggiore urgenza di consultare la chiesa è corrisposta finora una crescente indisponibilità da parte della chiesa istituzionale.

Non è un problema dipendente solamente dalle politiche dottrinali post-conciliari. I dibattiti e i documenti finali approvati al concilio Vaticano II inquadrarono la vita della chiesa in termini fortemente istituzionali: una chiesa la cui leadership era clericale, la cui articolazione era più territoriale che personale, e la cui posizione pubblica era sia partner che controparte di lo stato nazione che tra il XIX e il XX secolo ha sostituito gli imperi. È quindi un’istituzione che al Vaticano II stava cambiando, ma il cui ruolo non era del tutto diverso dal ruolo che l’istituzione aveva per i membri della Chiesa nei secoli precedenti. Sembra necessario riscoprire il complesso compenetrarsi di aspetti istituzionali e comunionali della chiesa cattolica. Una chiesa cattolica puramente comunionale e congregazionale è qualcosa che non è adeguato all’esperienza concreta e storica dei membri della Chiesa cattolica romana: si pensi alla necessità di vigilare su esperienze di abusi, sessuali e non, all’interno della chiesa. Questo non è un invito a mantenere lo status quo ovvero a sovra-istituzionalizzare la vita della Chiesa. La communio ecclesiarum è ora una dimensione più importante di prima, non solo per la magnitudo della globalizzazione della Chiesa cattolica, ma anche per la qualità di questa globalizzazione. È il volgersi della chiesa cattolica verso il sud del mondo, ma anche verso un mondo che è più urbanizzato di prima, dove la qualità esistenziale di una vita di fede è vissuta soprattutto in contesti urbani. L’esperienza cosmopolita di papa Francesco, il primo papa nato in una megalopoli del XX secolo, esprime la transizione del cattolicesimo a una nuova comprensione della compenetrazione di religiosi e secolari, di globale e locale, in una molteplicità di diversità.

Se è chiara la necessità del rafforzamento del livello medio dell’autorità ecclesiale tra il locale (diocesano) e l’universale (Roma), cioè il livello continentale e nazionale, vi è un aspetto cruciale per le future relazioni tra centro e periferia che il Vaticano II non ha affrontato, e sul quale il dibattito teologico post-Vaticano II è stato cauto se non circospetto: la necessità di immaginare il futuro della dimensione conciliare della chiesa cattolica, cioè in una chiesa dove i vescovi con diritto di partecipazione e di voto in un consiglio generale sono più di cinquemila. Un ulteriore problema è che quasi la metà di tutti i vescovi cattolici oggi sono vescovi o emeriti titolari. Non è solo una questione di problemi logistici di un concilio con migliaia di partecipanti (ora sarebbero quasi il doppio rispetto ai vescovi al Vaticano II) e delle soluzioni tecnologiche a questo problema, ma anche una questione di fare in modo che il concilio rimanga anche un atto spirituale e sacramentale che non può essere ridotto a una videoconferenza, a un “WikiCouncil” o un “concilium cyberspatiale primum”. È essenzialmente una questione di teologia della rappresentanza ecclesiale, e non di giurisprudenza9.

Questa questione di rappresentanza e rappresentazione ecclesiale va compresa nel quadro del sovvertimento del concetto sociale, politico ma anche teologico di “popolo”. Il XIX e XX secolo fu l’epoca della mobilitazione delle masse nei nuovi stati nazionali così come nella Chiesa. Quell’età è stata sostituita da un corpo sociale ed ecclesiale molto più frammentato. Era facile identificare l’élite cattolica con il clero, gli intellettuali cattolici e i leader politici cattolici; era consueto vedere nella leadership laica nella chiesa cattolica i resti di una élite laica cattolica impegnata nella politica, nel mondo degli affari, nella cultura e nel mondo accademico. Ora il ruolo di guida del clero è in profonda difficoltà, e ci sono leader laici cattolici la cui voce conta più di molti vescovi e cardinali insieme, ma non fanno più parte dell’antica élite laica cattolica. È uno degli effetti della crisi della teologia del laicato novecentesca10. D’altra parte, “il popolo” per la chiesa è ancora importante ma molto più come idea teologica (il popolo di Dio) che come realtà omogenea e socialmente tangibile. Frammentato ideologicamente, socialmente ed etnicamente, il cattolicesimo globalizzato deve fare i conti con la necessità di ridefinire chi e il suo popolo e chi sono i suoi popoli.

La teologia del sacerdozio e il modo in cui il sacerdozio viene formato e selezionato non sono cambiati in questi ultimi cinquant’anni, è in generale il vero significato della leadership della chiesa e del popolo della chiesa che è cambiato in modo significativo. Basterà qui notare la crisi profonda e probabilmente irrecuperabile dell’identificazione tra clero e leadership della chiesa. Il secondo millennio ha visto questa identificazione essere creata a partire dalla “rivoluzione gregoriana” del secolo XI. Il terzo millennio probabilmente si sbarazzerà di questa identificazione: in parte riconoscendo la teologia vissuta delle nostre comunità, parlandone discutendo teologicamente ed ecclesiologicamente la necessità di una ridefinizione della leadership e del ministero della Chiesa11.

Infine, sulla questione del culto ci si deve chiedere se non siamo in presenza di una nuova fase del movimento liturgico, alla luce del carattere divisivo della questione liturgica che nasce dalla riduzione della teologia della tradizione a tradizionalismo. Il motu proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI (2007), documento che ha liberalizzato l’uso della liturgia romana delle celebrazioni precedenti le riforme avviate dal concilio Vaticano II (1962-65), ha cambiato significativamente la situazione e quindi anche la questione del tradizionalismo liturgico nella chiesa cattolica. Summorum Pontificum ha rafforzato il mondo preesistente e sociologicamente limitato del tradizionalismo liturgico e lo ha proiettato sul più vasto mondo della chiesa cattolica, specialmente nei contesti di lingua inglese. Ha dato legittimità teologica a punti di vista tradizionalisti sulle riforme liturgiche del Vaticano II. Ha accresciuto la visibilità della liturgia tradizionalista negli spazi virtuali e non solo della Chiesa cattolica. Questo ha avuto un impatto significativo su parti consistenti del cattolicesimo romano contemporaneo e di quello futuro, soprattutto sui giovani cattolici impegnati e sui cattolici born again o convertiti di recente da altre tradizioni cristiane (specialmente dalle chiese della Riforma protestante), nonché sui seminaristi e giovani sacerdoti.

Vi è un legame tra il risorgente tradizionalismo liturgico e la crisi della globalizzazione e dell’universalismo all’interno del cattolicesimo: il Vaticano II e la teologia della liturgia del concilio sono parte di questa reazione contro una inculturazione che non sia la cultura del cattolicesimo latino medievale e controriformistico. La rinascita del tradizionalismo è tipica di tutte le religioni nell’era del “post-secolare”, e il cattolicesimo non fa eccezione: il neo-tradizionalismo cattolico va ben al di là dei confini storico-culturali in cui nasce lo scisma di Marcel Lefebvre subito dopo il Vaticano II, ed è possibile che con Summorum Pontificum si sia aperta una nuova fase nella storia del movimento liturgico. La vera questione è quella del nesso tra il tradizionalismo liturgico e gli effetti negativo sull’accettazione di altri documenti del Vaticano II, come quello sull’ecumenismo, sul dialogo interreligioso e sull’attività missionaria della Chiesa, ma anche sulla teologia della rivelazione e sull’ecclesiologia.

4. La “Weltkirche” post-conciliare e la reazione neo-tradizionalista

Nonostante i legittimi rimproveri della teologia conciliare per il silenziamento o la riduzione degli impulsi conciliari da parte dell’istituzione ecclesiastica, è difficile negare che la chiesa cattolica attuale sia in larga misura la chiesa del Vaticano II: il nuovo establishment cattolico è frutto del Vaticano II. Questo establishment si trova di fronte ad una reazione neo-tradizionalista che non è una rivoluzione, ma neppure una effimera rivolta.

La chiesa del futuro dovrà fare i conti con la reazione neo-tradizionalista che si è fatta evidente durante il pontificato di Benedetto XVI e di Francesco. È una reazione che ha la sua capitale nel cattolicesimo anglofono, animata da componenti diverse in relazioni complesse tra di loro. C’è la componente teologica, quella del progetto teologico post-liberale, che in America trova la sua voce in uno degli osservatori ecumenici al Vaticano II, George Lindbeck (1923-2018), che dalla chiesa luterana si espande al cattolicesimo dove trova dimora più stabile. Una seconda componente è quella della evangelicalizzazione del cattolicesimo in risposta alla complessità della teologia conciliare e post-conciliare e i suoi “cedimenti” alla modernità secolare. Una terza componente è quella di un cattolicesimo della rivolta conservatrice anti-istituzionale che vede nell’establishment cattolico – istituzionale e culturale – e nelle sue debolezze (nei confronti della crisi degli abusi sessuali, della secolarizzazione, dell’Islam) un establishment creato dal concilio e dal post-concilio, e che quindi va abbattuto e ricostruito una volta che le nuove leve clericali, formate dalla cultura neo-tradizionalista dei seminari, avranno sostituito la generazione dei preti e vescovi del secolo XX. Una quarta componente è la critica cattolica della globalizzazione come globalismo, che prende la forma di un anti-internazionalismo che sovente diventa etno-nazionalismo e nativismo. È la crisi dell’internazionalismo cattolico novecentesco, eredità dell’ultramontanismo e papalismo ottocentesco. Questo anti-internazionalismo cattolico assume la superiorità culturale e teologica della cultura dell’Europa della cristianità medievale e dell’occidente cristiano, contro la globalizzazione economica e finanziaria ma anche contro la globalizzazione del cattolicesimo.

Questa reazione neo-tradizionalista, in forme varie, è un fenomeno minoritario ma che difficilmente verrà riassorbito senza sussulti: il cattolicesimo conciliare mainstream non è più la forma del cattolicesimo romano, o è un mainstream che esiste ancora ma soltanto come una delle possibili forme del cattolicesimo globale contemporaneo. In questo frangente il processo di recezione conciliare incontra una resistenza che si è fatta più forte nel corso dell’ultimo quindicennio ed è diventata visibile per opposizione al pontificato di Francesco.

Non è chiaro se questo passaggio della recezione conciliare significherà una chiesa permanentemente divisa, con quale tipo di divisione interna, oppure una chiesa proiettata all’indietro verso una revisione della teologia conciliare. Quest’ultimo scenario è intellettualmente difficilmente immaginabile, dato il carattere fondativo della teologia conciliare per tutto il magistero e la teologia post-conciliari.

Conclusione

Il pontificato di Francesco ha riaperto la questione del futuro della chiesa da molti punti di vista: da quello della globalizzazione e diversificazione del cattolicesimo, a quello del rapporto con la tradizione. La chiesa è “in uscita” non solo dal centro alle periferie, ma anche in uscita da paradigmi storico-culturali che erano stati assunti come definitivi. È uno scenario in movimento che per essere interpretato richiede una visione storica di lungo periodo assieme a un approccio capace di discernere la nuova dimensione globale che rappresenta la vera incognita rispetto al futuro della chiesa.

Sommario

L’articolo tenta di analizzare alcune linee di tendenza per la chiesa del futuro partendo dalle traiettorie aperte dal concilio Vaticano II e riprese di recente da papa Francesco. Pur tra situazioni locali diverse, alcune questioni sono comuni a tutta la chiesa globale: una concezione della leadership non isolata al ministero ordinato; una visione della ministerialità della chiesa come servizio; il ruolo delle donne nella comunità ecclesiale. Gli ultimi anni hanno messo in evidenza due spinte contrastanti: una globalizzazione della chiesa e allo stesso tempo all’interno della chiesa anche una crisi della globalizzazione (religiosa e non solo) sotto forma del ritorno di fenomeni di reazione neo-tradizionalista, in materia liturgica e non solo, che sarebbe inadeguato sottovalutare e considerare come sintomi passeggeri destinati a scomparire in breve tempo.

Autore

Membro della Fondazione Giovanni XXIII di Bologna tra 1996 e 2008, è docente ordinario nel dipartimento di teologia e scienze religiose a Villanova University (Philadelphia, USA). Tra i suoi libri: The Rising Laity. Ecclesial Movements since Vatican II (Paulist Press, 2016); La onda larga del Vaticano II. Por un nuevo posconcilio (Universidad Alberto Hurtado: Santiago de Chile, 2017); Cattolicesimo, nazionalismo, cosmopolitismo. Chiesa, società e politica dal Vaticano II a papa Francesco. (Roma: Armando Editore, 2018).

Contatto

Villanova University Dept. of Theology and Religious Studies SAC 203 800 Lancaster Avenue Villanova, PA 19085 (USA) massimo.faggioli@villanova.edu

Massimo Faggioli – « La chiesa del futuro: prospettive storiche e sociologiche »

Massimo Faggioli

« La chiesa del futuro: prospettive storiche e sociologiche »


Concilium 2018-4. Kirche der Zukunft
Concilium 2018-4. The Church of the Future
Concilium 2018-4. La Iglesia del futuro
Concilium 2018-4. L’Église du futur
Concilium 2018-4. La Chiesa del futuro
Concilium 2018-4. A Igreja do Futuro

Thierry-Marie Courau OP, Stefanie Knauss et Enrico Galavotti (eds)

Introduzione

In un periodo in cui continuano ad emergere narrazioni diverse e talvolta contrastanti sul passato del cattolicesimo, a seconda delle voci e dei luoghi da cui emergono queste narrazioni, è necessario interrogarsi sulla chiesa del futuro. Ma ogni riflessione sulla questione della chiesa del futuro, ovvero dei possibili sviluppi dell’oggetto chiesa nel tempo a venire, deve ancorarsi ad una analisi storica. Per una comunità e un’istituzione come la chiesa l’elemento della tradizione è ancora dirimente, e nonostante tradizione e storia non si identifichino, la tradizione non può essere compresa – sia retrospettivamente nel passato che prospettivamente nel futuro – senza la storia. Alcune questioni si impongono come preliminari.

1. Prospettiva storica: dal Vaticano II al difficile inizio del secolo XXI

La prima questione è di inquadramento della chiesa contemporanea in un arco storico ampio. La periodizzazione della chiesa contemporanea non può prescindere dall’evento del concilio Vaticano II (1962-1965): la chiesa di oggi vive di una cultura religiosa e di una teologia conciliari post-conciliari che hanno caratteristiche diverse da quelle pre-conciliari1. Ma la questione della periodizzazione deve affrontare la questione del rapporto tra quell’evento periodizzante e il paradigma precedente quello tridentino: ovvero, come ha sottolineato Paolo Prodi, la questione è se il concilio Vaticano II ha aperto una nuova epoca, quella nella quale la chiesa si trova oggi, oppure se il concilio Vaticano II ha soltanto chiuso il periodo tridentino precedente, inaugurando non un’epoca nuova ma solo una transizione verso un nuovo periodo non ancora realizzatosi2.

Una seconda questione attiene alla pluralità di paradigmi. Se per il paradigma tridentino si può parlare di una chiesa che presupponeva almeno in teoria una forte unitarietà e uniformità di modelli sociali e culturali, per il periodo post-conciliare si deve iniziare a parlare di una pluriformità teologica, culturale e sociale non solo de facto, ma anche de iure. La chiesa post-conciliare consiste di modelli diversi o di diversità che si amplificano: tra chiese diverse in nazioni diverse, tra regioni diverse all’interno di una stessa nazione, tra comunità ecclesiali diverse all’interno di una stessa chiesa locale3.

Una terza questione storica necessaria ad impostare una riflessione sulla chiesa del futuro riguarda la periodizzazione del periodo post-conciliare, ovvero se vi siano e quali siano, nella storia della chiesa a partire dall’inizio dell’evento conciliare con la sua convocazione da parte di Giovanni XXIII quasi sessanta anni fa, periodi diversi caratterizzati da caratteristiche diverse. Da questo punto di vista, ci si può chiedere se il cambio di secolo non abbia coinciso con un nuovo periodo all’interno della storia della recezione conciliare. In modi diversi e su piani diversi, il venire alla luce del sex abuse crisis negli Stati Uniti tra 2001 e 2002 e le guerre causate dagli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001 hanno contribuito all’emergere di un nuovo tipo di consapevolezza nel rapporto tra religioni e politica globale e quindi anche una diversa consapevolezza nella chiesa e della chiesa. Non si tratta solo di un nuovo secolo dai tratti diversi da quelli attesi ed espressi dal cattolicesimo ufficiale (la lettera apostolica di Giovanni Paolo II Tertio Millennio Adveniente, 1994, e il grande Giubileo del 2000), ma si tratta anche di un diverso post-concilio, o di un “secondo post-concilio” che si apre con la transizione dalla generazione dei leader conciliari alla generazione dei cattolici nati e cresciuti nel post-concilio. Tra le caratteristiche di questa nuova consapevolezza, vi è un diverso rapporto col mondo contemporaneo – dal nuovo rapporto tra chiesa e secolarità del Vaticano II al mondo secolarizzato e post-secolare del secolo XXI4.

2. Tra declino sociologico, de-istituzionalizzazione e ripresa neo-tradizionalista

La situazione della chiesa attuale è caratterizzata da alcune caratteristiche consolidatesi nel periodo post-conciliare, che qui è possibile tratteggiare solo in modo generale. È evidente un declino sociologico della chiesa nell’emisfero nord-occidentale: un calo nella percentuale dei battezzati e dei messalizzanti nelle chiese in Europa e in Nord America – un calo che nel Nord America specialmente è mascherato dall’influsso di immigrati cattolici in particolare dall’America centrale e meridionale (e in misura minore anche in Europa dall’afflusso di cristiani emigrati o rifugiati dall’Europa orientale, Medio Oriente, e Africa). Questo declino comporta un minore influsso della chiesa nella cultura popolare e nella legislazione, una dispersione politica dell’elettorato cattolico in partiti e movimenti diversi, e un indebolimento delle istituzioni cattoliche (scuole, ospedali, associazioni, partiti e sindacati) nei paesi in cui il sistema del welfare non deve contare sulle istituzioni cattoliche sovvenzionate dallo stato. Ancora più visibile è la riduzione del numero dei ministri ordinati del culto e dei membri di ordini religiosi maschili e femminili, rispetto alla prima metà del secolo XX.

Questo ha significato una ridistribuzione degli incarichi di leadership nella chiesa: a favore del diaconato permanente maschile ripristinato dal Vaticano II (con un grande numero di diaconi specialmente in alcuni paesi, come negli Stati Uniti), a favore di un laicato maschile e femminile (formato in modo professionale e non), e a favore di un nuovo movimentismo laicale. Ma questa ridistribuzione è avvenuta in assenza di una reale discussione sul futuro della ministerialità (ordinata e non ordinata, femminile e maschile) nella chiesa, in difesa di un apparentemente inalterato modello di ministerialità sacerdotale e sacrale, maschile e celibataria. Si è inaugurato un pluralismo di ministeri e di figure ministeriali in gran parte extra legem, forzato dall’emergenza e reso possibile (quando possibile) dalle risorse finanziarie di chiese locali in grado di assumere personale laicale (maschile e femminile) in posizioni di cura pastorale che in altri tempi erano affidate esclusivamente al clero.

Insieme a questa situazione di declino sociologico e di ridefinizione dei profili della ministerialità va considerata a livello globale la persistenza istituzionale e “politica” in senso lato della chiesa e delle chiese5. Il volto post-conciliare e contemporaneo della chiesa è sempre più quello di una chiesa attiva sul fronte dei diritti umani (degli esseri umani in quanto tali, non in quanto appartenenti a un particolare chiesa o comunità religiosa) e di un welfare state integrativo delle lacune create dalle politiche neo-liberali, sia a livello di advocacy del papato e della Santa Sede, sia a livello di episcopati, clero, e associazioni locali.

Questo profilo movimentista della chiesa attuale deve conciliarsi con una grande diversificazione dei modelli di chiesa che risentono dei diversi modelli di rapporto tra stato e chiesa (nel continuum che va dal modello concordatario classico della “chiesa di stato” a quello della chiesa clandestina e perseguitata, passando per i diversi modelli separazionisti). Questa diversità di modelli contribuisce a configurare diversi stili di chiesa: da uno stile di chiesa “culture war” combattiva con mezzi legali sul fronte delle questioni bioetiche sensibili (come quella negli Stati Uniti) a quella dialogica con la laicità repubblicana (come in Francia) e del patriottismo costituzionale (come in Germania), a quella alle prese con la mediazione per l’apertura di una nuova fase nei rapporti tra Santa Sede e governo, con importanti riflessi sugli equilibri interni alla chiesa locale (come nella Repubblica Popolare Cinese).

Questi modelli istituzionali sono tutti sotto pressione da parte di un cristianesimo e una religione sempre meno dipendenti dall’istituzione religiosa. La “age of anger” contemporanea è anche un fenomeno religioso, e una fase successiva della “revanche de Dieu” di cui aveva parlato Gilles Kepel nei primi anni novanta6. Nell’ultimo quindicennio specialmente a partire dal cattolicesimo anglofono è iniziata una ripresa neo-tradizionalista, segno di un riflusso anti-conciliare in occidente: in parte riequilibrio delle spinte modernizzatrici e funzionaliste del periodo post-conciliare e della generazione dei baby boomers, in parte reazione alla spinta espansiva della secolarizzazione e dell’Islam in Europa e in Occidente.

3. Prospettive di tendenza: dottrina – vita – culto

Uno dei modi di analizzare le possibili prospettive di tendenza è di adottare la triade dottrina-vita-culto (dal paragrafo 8 della costituzione del concilio Vaticano II sulla rivelazione, Dei Verbum), i tre modi della tradizione. La questione centrale è tornata ad essere quella di diversi modi di intendere la tradizione, da cui deriva la rinnovata centralità di Dei Verbum nel dibattito sulla recezione conciliare7.

Dal punto di vista dottrinale, la transizione dai pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI a quello di Francesco ha significato una sanzione ufficiale, per via simbolica e istituzionale, della transizione (già avviata a livello culturale e teologico) da un modello romano, europeo, e occidentale a un modello policentrico non più dominato da un canone storico-geografico discendente dalla cristianità medievale. Questa transizione ha già un impatto sull’esegesi, la cristologia, l’ecclesiologia, la teologia morale e sulle questioni di genere e sui futuri assetti della vita ministeriale nella chiesa globale. Ma il futuro dottrinale del cattolicesimo dipende dalla soluzione che verrà data dal magistero e dalla teologia alla questione del concilio Vaticano II come evento che ha segnato un passaggio; in altre parole, dipende dalla strada che il cattolicesimo globale prenderà dopo il pontificato di Francesco, il quale ha interpretato in modo evidente un’interpretazione aperta del concilio.

Molto più evidenti e meno dipendenti dalla politica dottrinale, al momento attuale, paiono le tendenze in atto dal punto di vista della vita della chiesa e del culto. Dal punto di vista della vita della chiesa, le prospettive di tendenza suggeriscono una nuova stagione nei rapporti tra vocazione al ministero e stati di vita, in direzione di un superamento del modello binario tra ministero ordinato sacerdotale e stato di vita laicale.

La chiesa ha già recuperato in forme diverse e con iniziali riconoscimenti (come il diaconato permanente) una pluralità di vocazioni e ministeri più fedele alla chiesa delle origini e meno debitrice nei confronti dell’ecclesiologia del secondo millennio. La ministerialità degli ordini religiosi maschili e femminili del secondo millennio è in via di ridistribuzione all’interno di altre forme di vita comunitaria e associata (associazioni e movimenti) che prevedono una maggiore integrazione, non una separazione tra vocazione ecclesiale e vita laicale. Un discorso più ampio richiede la questione della governance ecclesiale: centro e periferie, popolo di Dio e ministeri8. Non v’è dubbio che una delle traiettorie ecclesiologiche a lungo termine per la chiesa cattolica è il modello sinodale: nella chiesa ci sono alcune questioni che meritano di essere oggetto di un ampio processo di riflessione e discernimento che coinvolgano il clero e i laici, in particolare donne. Durante i primi anni del suo pontificato, papa Francesco ha decentrato ai vescovi locali l’autorità di giudice per i processi brevi di nullità matrimoniale e alle conferenze episcopali nazionali la traduzione dei testi liturgici, salva la confirmatio (e non più la recognitio) da parte della Sede apostolica. Ma è una sfida che va oltre la componente episcopale. La componente non episcopale della chiesa cattolica (preti, monaci e fratelli/sorelle in ordini religiosi, laici e laiche) ha ricevuto sempre meno opportunità di esprimersi su alcune questioni urgenti: a una maggiore urgenza di consultare la chiesa è corrisposta finora una crescente indisponibilità da parte della chiesa istituzionale.

Non è un problema dipendente solamente dalle politiche dottrinali post-conciliari. I dibattiti e i documenti finali approvati al concilio Vaticano II inquadrarono la vita della chiesa in termini fortemente istituzionali: una chiesa la cui leadership era clericale, la cui articolazione era più territoriale che personale, e la cui posizione pubblica era sia partner che controparte di lo stato nazione che tra il XIX e il XX secolo ha sostituito gli imperi. È quindi un’istituzione che al Vaticano II stava cambiando, ma il cui ruolo non era del tutto diverso dal ruolo che l’istituzione aveva per i membri della Chiesa nei secoli precedenti. Sembra necessario riscoprire il complesso compenetrarsi di aspetti istituzionali e comunionali della chiesa cattolica. Una chiesa cattolica puramente comunionale e congregazionale è qualcosa che non è adeguato all’esperienza concreta e storica dei membri della Chiesa cattolica romana: si pensi alla necessità di vigilare su esperienze di abusi, sessuali e non, all’interno della chiesa. Questo non è un invito a mantenere lo status quo ovvero a sovra-istituzionalizzare la vita della Chiesa. La communio ecclesiarum è ora una dimensione più importante di prima, non solo per la magnitudo della globalizzazione della Chiesa cattolica, ma anche per la qualità di questa globalizzazione. È il volgersi della chiesa cattolica verso il sud del mondo, ma anche verso un mondo che è più urbanizzato di prima, dove la qualità esistenziale di una vita di fede è vissuta soprattutto in contesti urbani. L’esperienza cosmopolita di papa Francesco, il primo papa nato in una megalopoli del XX secolo, esprime la transizione del cattolicesimo a una nuova comprensione della compenetrazione di religiosi e secolari, di globale e locale, in una molteplicità di diversità.

Se è chiara la necessità del rafforzamento del livello medio dell’autorità ecclesiale tra il locale (diocesano) e l’universale (Roma), cioè il livello continentale e nazionale, vi è un aspetto cruciale per le future relazioni tra centro e periferia che il Vaticano II non ha affrontato, e sul quale il dibattito teologico post-Vaticano II è stato cauto se non circospetto: la necessità di immaginare il futuro della dimensione conciliare della chiesa cattolica, cioè in una chiesa dove i vescovi con diritto di partecipazione e di voto in un consiglio generale sono più di cinquemila. Un ulteriore problema è che quasi la metà di tutti i vescovi cattolici oggi sono vescovi o emeriti titolari. Non è solo una questione di problemi logistici di un concilio con migliaia di partecipanti (ora sarebbero quasi il doppio rispetto ai vescovi al Vaticano II) e delle soluzioni tecnologiche a questo problema, ma anche una questione di fare in modo che il concilio rimanga anche un atto spirituale e sacramentale che non può essere ridotto a una videoconferenza, a un “WikiCouncil” o un “concilium cyberspatiale primum”. È essenzialmente una questione di teologia della rappresentanza ecclesiale, e non di giurisprudenza9.

Questa questione di rappresentanza e rappresentazione ecclesiale va compresa nel quadro del sovvertimento del concetto sociale, politico ma anche teologico di “popolo”. Il XIX e XX secolo fu l’epoca della mobilitazione delle masse nei nuovi stati nazionali così come nella Chiesa. Quell’età è stata sostituita da un corpo sociale ed ecclesiale molto più frammentato. Era facile identificare l’élite cattolica con il clero, gli intellettuali cattolici e i leader politici cattolici; era consueto vedere nella leadership laica nella chiesa cattolica i resti di una élite laica cattolica impegnata nella politica, nel mondo degli affari, nella cultura e nel mondo accademico. Ora il ruolo di guida del clero è in profonda difficoltà, e ci sono leader laici cattolici la cui voce conta più di molti vescovi e cardinali insieme, ma non fanno più parte dell’antica élite laica cattolica. È uno degli effetti della crisi della teologia del laicato novecentesca10. D’altra parte, “il popolo” per la chiesa è ancora importante ma molto più come idea teologica (il popolo di Dio) che come realtà omogenea e socialmente tangibile. Frammentato ideologicamente, socialmente ed etnicamente, il cattolicesimo globalizzato deve fare i conti con la necessità di ridefinire chi e il suo popolo e chi sono i suoi popoli.

La teologia del sacerdozio e il modo in cui il sacerdozio viene formato e selezionato non sono cambiati in questi ultimi cinquant’anni, è in generale il vero significato della leadership della chiesa e del popolo della chiesa che è cambiato in modo significativo. Basterà qui notare la crisi profonda e probabilmente irrecuperabile dell’identificazione tra clero e leadership della chiesa. Il secondo millennio ha visto questa identificazione essere creata a partire dalla “rivoluzione gregoriana” del secolo XI. Il terzo millennio probabilmente si sbarazzerà di questa identificazione: in parte riconoscendo la teologia vissuta delle nostre comunità, parlandone discutendo teologicamente ed ecclesiologicamente la necessità di una ridefinizione della leadership e del ministero della Chiesa11.

Infine, sulla questione del culto ci si deve chiedere se non siamo in presenza di una nuova fase del movimento liturgico, alla luce del carattere divisivo della questione liturgica che nasce dalla riduzione della teologia della tradizione a tradizionalismo. Il motu proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI (2007), documento che ha liberalizzato l’uso della liturgia romana delle celebrazioni precedenti le riforme avviate dal concilio Vaticano II (1962-65), ha cambiato significativamente la situazione e quindi anche la questione del tradizionalismo liturgico nella chiesa cattolica. Summorum Pontificum ha rafforzato il mondo preesistente e sociologicamente limitato del tradizionalismo liturgico e lo ha proiettato sul più vasto mondo della chiesa cattolica, specialmente nei contesti di lingua inglese. Ha dato legittimità teologica a punti di vista tradizionalisti sulle riforme liturgiche del Vaticano II. Ha accresciuto la visibilità della liturgia tradizionalista negli spazi virtuali e non solo della Chiesa cattolica. Questo ha avuto un impatto significativo su parti consistenti del cattolicesimo romano contemporaneo e di quello futuro, soprattutto sui giovani cattolici impegnati e sui cattolici born again o convertiti di recente da altre tradizioni cristiane (specialmente dalle chiese della Riforma protestante), nonché sui seminaristi e giovani sacerdoti.

Vi è un legame tra il risorgente tradizionalismo liturgico e la crisi della globalizzazione e dell’universalismo all’interno del cattolicesimo: il Vaticano II e la teologia della liturgia del concilio sono parte di questa reazione contro una inculturazione che non sia la cultura del cattolicesimo latino medievale e controriformistico. La rinascita del tradizionalismo è tipica di tutte le religioni nell’era del “post-secolare”, e il cattolicesimo non fa eccezione: il neo-tradizionalismo cattolico va ben al di là dei confini storico-culturali in cui nasce lo scisma di Marcel Lefebvre subito dopo il Vaticano II, ed è possibile che con Summorum Pontificum si sia aperta una nuova fase nella storia del movimento liturgico. La vera questione è quella del nesso tra il tradizionalismo liturgico e gli effetti negativo sull’accettazione di altri documenti del Vaticano II, come quello sull’ecumenismo, sul dialogo interreligioso e sull’attività missionaria della Chiesa, ma anche sulla teologia della rivelazione e sull’ecclesiologia.

4. La “Weltkirche” post-conciliare e la reazione neo-tradizionalista

Nonostante i legittimi rimproveri della teologia conciliare per il silenziamento o la riduzione degli impulsi conciliari da parte dell’istituzione ecclesiastica, è difficile negare che la chiesa cattolica attuale sia in larga misura la chiesa del Vaticano II: il nuovo establishment cattolico è frutto del Vaticano II. Questo establishment si trova di fronte ad una reazione neo-tradizionalista che non è una rivoluzione, ma neppure una effimera rivolta.

La chiesa del futuro dovrà fare i conti con la reazione neo-tradizionalista che si è fatta evidente durante il pontificato di Benedetto XVI e di Francesco. È una reazione che ha la sua capitale nel cattolicesimo anglofono, animata da componenti diverse in relazioni complesse tra di loro. C’è la componente teologica, quella del progetto teologico post-liberale, che in America trova la sua voce in uno degli osservatori ecumenici al Vaticano II, George Lindbeck (1923-2018), che dalla chiesa luterana si espande al cattolicesimo dove trova dimora più stabile. Una seconda componente è quella della evangelicalizzazione del cattolicesimo in risposta alla complessità della teologia conciliare e post-conciliare e i suoi “cedimenti” alla modernità secolare. Una terza componente è quella di un cattolicesimo della rivolta conservatrice anti-istituzionale che vede nell’establishment cattolico – istituzionale e culturale – e nelle sue debolezze (nei confronti della crisi degli abusi sessuali, della secolarizzazione, dell’Islam) un establishment creato dal concilio e dal post-concilio, e che quindi va abbattuto e ricostruito una volta che le nuove leve clericali, formate dalla cultura neo-tradizionalista dei seminari, avranno sostituito la generazione dei preti e vescovi del secolo XX. Una quarta componente è la critica cattolica della globalizzazione come globalismo, che prende la forma di un anti-internazionalismo che sovente diventa etno-nazionalismo e nativismo. È la crisi dell’internazionalismo cattolico novecentesco, eredità dell’ultramontanismo e papalismo ottocentesco. Questo anti-internazionalismo cattolico assume la superiorità culturale e teologica della cultura dell’Europa della cristianità medievale e dell’occidente cristiano, contro la globalizzazione economica e finanziaria ma anche contro la globalizzazione del cattolicesimo.

Questa reazione neo-tradizionalista, in forme varie, è un fenomeno minoritario ma che difficilmente verrà riassorbito senza sussulti: il cattolicesimo conciliare mainstream non è più la forma del cattolicesimo romano, o è un mainstream che esiste ancora ma soltanto come una delle possibili forme del cattolicesimo globale contemporaneo. In questo frangente il processo di recezione conciliare incontra una resistenza che si è fatta più forte nel corso dell’ultimo quindicennio ed è diventata visibile per opposizione al pontificato di Francesco.

Non è chiaro se questo passaggio della recezione conciliare significherà una chiesa permanentemente divisa, con quale tipo di divisione interna, oppure una chiesa proiettata all’indietro verso una revisione della teologia conciliare. Quest’ultimo scenario è intellettualmente difficilmente immaginabile, dato il carattere fondativo della teologia conciliare per tutto il magistero e la teologia post-conciliari.

Conclusione

Il pontificato di Francesco ha riaperto la questione del futuro della chiesa da molti punti di vista: da quello della globalizzazione e diversificazione del cattolicesimo, a quello del rapporto con la tradizione. La chiesa è “in uscita” non solo dal centro alle periferie, ma anche in uscita da paradigmi storico-culturali che erano stati assunti come definitivi. È uno scenario in movimento che per essere interpretato richiede una visione storica di lungo periodo assieme a un approccio capace di discernere la nuova dimensione globale che rappresenta la vera incognita rispetto al futuro della chiesa.

Sommario

L’articolo tenta di analizzare alcune linee di tendenza per la chiesa del futuro partendo dalle traiettorie aperte dal concilio Vaticano II e riprese di recente da papa Francesco. Pur tra situazioni locali diverse, alcune questioni sono comuni a tutta la chiesa globale: una concezione della leadership non isolata al ministero ordinato; una visione della ministerialità della chiesa come servizio; il ruolo delle donne nella comunità ecclesiale. Gli ultimi anni hanno messo in evidenza due spinte contrastanti: una globalizzazione della chiesa e allo stesso tempo all’interno della chiesa anche una crisi della globalizzazione (religiosa e non solo) sotto forma del ritorno di fenomeni di reazione neo-tradizionalista, in materia liturgica e non solo, che sarebbe inadeguato sottovalutare e considerare come sintomi passeggeri destinati a scomparire in breve tempo.

Autore

Membro della Fondazione Giovanni XXIII di Bologna tra 1996 e 2008, è docente ordinario nel dipartimento di teologia e scienze religiose a Villanova University (Philadelphia, USA). Tra i suoi libri: The Rising Laity. Ecclesial Movements since Vatican II (Paulist Press, 2016); La onda larga del Vaticano II. Por un nuevo posconcilio (Universidad Alberto Hurtado: Santiago de Chile, 2017); Cattolicesimo, nazionalismo, cosmopolitismo. Chiesa, società e politica dal Vaticano II a papa Francesco. (Roma: Armando Editore, 2018).

Contatto

Villanova University Dept. of Theology and Religious Studies SAC 203 800 Lancaster Avenue Villanova, PA 19085 (USA) massimo.faggioli@villanova.edu

Massimo Faggioli – « La chiesa del futuro: prospettive storiche e sociologiche »

Massimo Faggioli

« La chiesa del futuro: prospettive storiche e sociologiche »


Concilium 2018-4. Kirche der Zukunft
Concilium 2018-4. The Church of the Future
Concilium 2018-4. La Iglesia del futuro
Concilium 2018-4. L’Église du futur
Concilium 2018-4. La Chiesa del futuro
Concilium 2018-4. A Igreja do Futuro

Thierry-Marie Courau OP, Stefanie Knauss et Enrico Galavotti (eds)

Introduzione

In un periodo in cui continuano ad emergere narrazioni diverse e talvolta contrastanti sul passato del cattolicesimo, a seconda delle voci e dei luoghi da cui emergono queste narrazioni, è necessario interrogarsi sulla chiesa del futuro. Ma ogni riflessione sulla questione della chiesa del futuro, ovvero dei possibili sviluppi dell’oggetto chiesa nel tempo a venire, deve ancorarsi ad una analisi storica. Per una comunità e un’istituzione come la chiesa l’elemento della tradizione è ancora dirimente, e nonostante tradizione e storia non si identifichino, la tradizione non può essere compresa – sia retrospettivamente nel passato che prospettivamente nel futuro – senza la storia. Alcune questioni si impongono come preliminari.

1. Prospettiva storica: dal Vaticano II al difficile inizio del secolo XXI

La prima questione è di inquadramento della chiesa contemporanea in un arco storico ampio. La periodizzazione della chiesa contemporanea non può prescindere dall’evento del concilio Vaticano II (1962-1965): la chiesa di oggi vive di una cultura religiosa e di una teologia conciliari post-conciliari che hanno caratteristiche diverse da quelle pre-conciliari1. Ma la questione della periodizzazione deve affrontare la questione del rapporto tra quell’evento periodizzante e il paradigma precedente quello tridentino: ovvero, come ha sottolineato Paolo Prodi, la questione è se il concilio Vaticano II ha aperto una nuova epoca, quella nella quale la chiesa si trova oggi, oppure se il concilio Vaticano II ha soltanto chiuso il periodo tridentino precedente, inaugurando non un’epoca nuova ma solo una transizione verso un nuovo periodo non ancora realizzatosi2.

Una seconda questione attiene alla pluralità di paradigmi. Se per il paradigma tridentino si può parlare di una chiesa che presupponeva almeno in teoria una forte unitarietà e uniformità di modelli sociali e culturali, per il periodo post-conciliare si deve iniziare a parlare di una pluriformità teologica, culturale e sociale non solo de facto, ma anche de iure. La chiesa post-conciliare consiste di modelli diversi o di diversità che si amplificano: tra chiese diverse in nazioni diverse, tra regioni diverse all’interno di una stessa nazione, tra comunità ecclesiali diverse all’interno di una stessa chiesa locale3.

Una terza questione storica necessaria ad impostare una riflessione sulla chiesa del futuro riguarda la periodizzazione del periodo post-conciliare, ovvero se vi siano e quali siano, nella storia della chiesa a partire dall’inizio dell’evento conciliare con la sua convocazione da parte di Giovanni XXIII quasi sessanta anni fa, periodi diversi caratterizzati da caratteristiche diverse. Da questo punto di vista, ci si può chiedere se il cambio di secolo non abbia coinciso con un nuovo periodo all’interno della storia della recezione conciliare. In modi diversi e su piani diversi, il venire alla luce del sex abuse crisis negli Stati Uniti tra 2001 e 2002 e le guerre causate dagli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001 hanno contribuito all’emergere di un nuovo tipo di consapevolezza nel rapporto tra religioni e politica globale e quindi anche una diversa consapevolezza nella chiesa e della chiesa. Non si tratta solo di un nuovo secolo dai tratti diversi da quelli attesi ed espressi dal cattolicesimo ufficiale (la lettera apostolica di Giovanni Paolo II Tertio Millennio Adveniente, 1994, e il grande Giubileo del 2000), ma si tratta anche di un diverso post-concilio, o di un “secondo post-concilio” che si apre con la transizione dalla generazione dei leader conciliari alla generazione dei cattolici nati e cresciuti nel post-concilio. Tra le caratteristiche di questa nuova consapevolezza, vi è un diverso rapporto col mondo contemporaneo – dal nuovo rapporto tra chiesa e secolarità del Vaticano II al mondo secolarizzato e post-secolare del secolo XXI4.

2. Tra declino sociologico, de-istituzionalizzazione e ripresa neo-tradizionalista

La situazione della chiesa attuale è caratterizzata da alcune caratteristiche consolidatesi nel periodo post-conciliare, che qui è possibile tratteggiare solo in modo generale. È evidente un declino sociologico della chiesa nell’emisfero nord-occidentale: un calo nella percentuale dei battezzati e dei messalizzanti nelle chiese in Europa e in Nord America – un calo che nel Nord America specialmente è mascherato dall’influsso di immigrati cattolici in particolare dall’America centrale e meridionale (e in misura minore anche in Europa dall’afflusso di cristiani emigrati o rifugiati dall’Europa orientale, Medio Oriente, e Africa). Questo declino comporta un minore influsso della chiesa nella cultura popolare e nella legislazione, una dispersione politica dell’elettorato cattolico in partiti e movimenti diversi, e un indebolimento delle istituzioni cattoliche (scuole, ospedali, associazioni, partiti e sindacati) nei paesi in cui il sistema del welfare non deve contare sulle istituzioni cattoliche sovvenzionate dallo stato. Ancora più visibile è la riduzione del numero dei ministri ordinati del culto e dei membri di ordini religiosi maschili e femminili, rispetto alla prima metà del secolo XX.

Questo ha significato una ridistribuzione degli incarichi di leadership nella chiesa: a favore del diaconato permanente maschile ripristinato dal Vaticano II (con un grande numero di diaconi specialmente in alcuni paesi, come negli Stati Uniti), a favore di un laicato maschile e femminile (formato in modo professionale e non), e a favore di un nuovo movimentismo laicale. Ma questa ridistribuzione è avvenuta in assenza di una reale discussione sul futuro della ministerialità (ordinata e non ordinata, femminile e maschile) nella chiesa, in difesa di un apparentemente inalterato modello di ministerialità sacerdotale e sacrale, maschile e celibataria. Si è inaugurato un pluralismo di ministeri e di figure ministeriali in gran parte extra legem, forzato dall’emergenza e reso possibile (quando possibile) dalle risorse finanziarie di chiese locali in grado di assumere personale laicale (maschile e femminile) in posizioni di cura pastorale che in altri tempi erano affidate esclusivamente al clero.

Insieme a questa situazione di declino sociologico e di ridefinizione dei profili della ministerialità va considerata a livello globale la persistenza istituzionale e “politica” in senso lato della chiesa e delle chiese5. Il volto post-conciliare e contemporaneo della chiesa è sempre più quello di una chiesa attiva sul fronte dei diritti umani (degli esseri umani in quanto tali, non in quanto appartenenti a un particolare chiesa o comunità religiosa) e di un welfare state integrativo delle lacune create dalle politiche neo-liberali, sia a livello di advocacy del papato e della Santa Sede, sia a livello di episcopati, clero, e associazioni locali.

Questo profilo movimentista della chiesa attuale deve conciliarsi con una grande diversificazione dei modelli di chiesa che risentono dei diversi modelli di rapporto tra stato e chiesa (nel continuum che va dal modello concordatario classico della “chiesa di stato” a quello della chiesa clandestina e perseguitata, passando per i diversi modelli separazionisti). Questa diversità di modelli contribuisce a configurare diversi stili di chiesa: da uno stile di chiesa “culture war” combattiva con mezzi legali sul fronte delle questioni bioetiche sensibili (come quella negli Stati Uniti) a quella dialogica con la laicità repubblicana (come in Francia) e del patriottismo costituzionale (come in Germania), a quella alle prese con la mediazione per l’apertura di una nuova fase nei rapporti tra Santa Sede e governo, con importanti riflessi sugli equilibri interni alla chiesa locale (come nella Repubblica Popolare Cinese).

Questi modelli istituzionali sono tutti sotto pressione da parte di un cristianesimo e una religione sempre meno dipendenti dall’istituzione religiosa. La “age of anger” contemporanea è anche un fenomeno religioso, e una fase successiva della “revanche de Dieu” di cui aveva parlato Gilles Kepel nei primi anni novanta6. Nell’ultimo quindicennio specialmente a partire dal cattolicesimo anglofono è iniziata una ripresa neo-tradizionalista, segno di un riflusso anti-conciliare in occidente: in parte riequilibrio delle spinte modernizzatrici e funzionaliste del periodo post-conciliare e della generazione dei baby boomers, in parte reazione alla spinta espansiva della secolarizzazione e dell’Islam in Europa e in Occidente.

3. Prospettive di tendenza: dottrina – vita – culto

Uno dei modi di analizzare le possibili prospettive di tendenza è di adottare la triade dottrina-vita-culto (dal paragrafo 8 della costituzione del concilio Vaticano II sulla rivelazione, Dei Verbum), i tre modi della tradizione. La questione centrale è tornata ad essere quella di diversi modi di intendere la tradizione, da cui deriva la rinnovata centralità di Dei Verbum nel dibattito sulla recezione conciliare7.

Dal punto di vista dottrinale, la transizione dai pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI a quello di Francesco ha significato una sanzione ufficiale, per via simbolica e istituzionale, della transizione (già avviata a livello culturale e teologico) da un modello romano, europeo, e occidentale a un modello policentrico non più dominato da un canone storico-geografico discendente dalla cristianità medievale. Questa transizione ha già un impatto sull’esegesi, la cristologia, l’ecclesiologia, la teologia morale e sulle questioni di genere e sui futuri assetti della vita ministeriale nella chiesa globale. Ma il futuro dottrinale del cattolicesimo dipende dalla soluzione che verrà data dal magistero e dalla teologia alla questione del concilio Vaticano II come evento che ha segnato un passaggio; in altre parole, dipende dalla strada che il cattolicesimo globale prenderà dopo il pontificato di Francesco, il quale ha interpretato in modo evidente un’interpretazione aperta del concilio.

Molto più evidenti e meno dipendenti dalla politica dottrinale, al momento attuale, paiono le tendenze in atto dal punto di vista della vita della chiesa e del culto. Dal punto di vista della vita della chiesa, le prospettive di tendenza suggeriscono una nuova stagione nei rapporti tra vocazione al ministero e stati di vita, in direzione di un superamento del modello binario tra ministero ordinato sacerdotale e stato di vita laicale.

La chiesa ha già recuperato in forme diverse e con iniziali riconoscimenti (come il diaconato permanente) una pluralità di vocazioni e ministeri più fedele alla chiesa delle origini e meno debitrice nei confronti dell’ecclesiologia del secondo millennio. La ministerialità degli ordini religiosi maschili e femminili del secondo millennio è in via di ridistribuzione all’interno di altre forme di vita comunitaria e associata (associazioni e movimenti) che prevedono una maggiore integrazione, non una separazione tra vocazione ecclesiale e vita laicale. Un discorso più ampio richiede la questione della governance ecclesiale: centro e periferie, popolo di Dio e ministeri8. Non v’è dubbio che una delle traiettorie ecclesiologiche a lungo termine per la chiesa cattolica è il modello sinodale: nella chiesa ci sono alcune questioni che meritano di essere oggetto di un ampio processo di riflessione e discernimento che coinvolgano il clero e i laici, in particolare donne. Durante i primi anni del suo pontificato, papa Francesco ha decentrato ai vescovi locali l’autorità di giudice per i processi brevi di nullità matrimoniale e alle conferenze episcopali nazionali la traduzione dei testi liturgici, salva la confirmatio (e non più la recognitio) da parte della Sede apostolica. Ma è una sfida che va oltre la componente episcopale. La componente non episcopale della chiesa cattolica (preti, monaci e fratelli/sorelle in ordini religiosi, laici e laiche) ha ricevuto sempre meno opportunità di esprimersi su alcune questioni urgenti: a una maggiore urgenza di consultare la chiesa è corrisposta finora una crescente indisponibilità da parte della chiesa istituzionale.

Non è un problema dipendente solamente dalle politiche dottrinali post-conciliari. I dibattiti e i documenti finali approvati al concilio Vaticano II inquadrarono la vita della chiesa in termini fortemente istituzionali: una chiesa la cui leadership era clericale, la cui articolazione era più territoriale che personale, e la cui posizione pubblica era sia partner che controparte di lo stato nazione che tra il XIX e il XX secolo ha sostituito gli imperi. È quindi un’istituzione che al Vaticano II stava cambiando, ma il cui ruolo non era del tutto diverso dal ruolo che l’istituzione aveva per i membri della Chiesa nei secoli precedenti. Sembra necessario riscoprire il complesso compenetrarsi di aspetti istituzionali e comunionali della chiesa cattolica. Una chiesa cattolica puramente comunionale e congregazionale è qualcosa che non è adeguato all’esperienza concreta e storica dei membri della Chiesa cattolica romana: si pensi alla necessità di vigilare su esperienze di abusi, sessuali e non, all’interno della chiesa. Questo non è un invito a mantenere lo status quo ovvero a sovra-istituzionalizzare la vita della Chiesa. La communio ecclesiarum è ora una dimensione più importante di prima, non solo per la magnitudo della globalizzazione della Chiesa cattolica, ma anche per la qualità di questa globalizzazione. È il volgersi della chiesa cattolica verso il sud del mondo, ma anche verso un mondo che è più urbanizzato di prima, dove la qualità esistenziale di una vita di fede è vissuta soprattutto in contesti urbani. L’esperienza cosmopolita di papa Francesco, il primo papa nato in una megalopoli del XX secolo, esprime la transizione del cattolicesimo a una nuova comprensione della compenetrazione di religiosi e secolari, di globale e locale, in una molteplicità di diversità.

Se è chiara la necessità del rafforzamento del livello medio dell’autorità ecclesiale tra il locale (diocesano) e l’universale (Roma), cioè il livello continentale e nazionale, vi è un aspetto cruciale per le future relazioni tra centro e periferia che il Vaticano II non ha affrontato, e sul quale il dibattito teologico post-Vaticano II è stato cauto se non circospetto: la necessità di immaginare il futuro della dimensione conciliare della chiesa cattolica, cioè in una chiesa dove i vescovi con diritto di partecipazione e di voto in un consiglio generale sono più di cinquemila. Un ulteriore problema è che quasi la metà di tutti i vescovi cattolici oggi sono vescovi o emeriti titolari. Non è solo una questione di problemi logistici di un concilio con migliaia di partecipanti (ora sarebbero quasi il doppio rispetto ai vescovi al Vaticano II) e delle soluzioni tecnologiche a questo problema, ma anche una questione di fare in modo che il concilio rimanga anche un atto spirituale e sacramentale che non può essere ridotto a una videoconferenza, a un “WikiCouncil” o un “concilium cyberspatiale primum”. È essenzialmente una questione di teologia della rappresentanza ecclesiale, e non di giurisprudenza9.

Questa questione di rappresentanza e rappresentazione ecclesiale va compresa nel quadro del sovvertimento del concetto sociale, politico ma anche teologico di “popolo”. Il XIX e XX secolo fu l’epoca della mobilitazione delle masse nei nuovi stati nazionali così come nella Chiesa. Quell’età è stata sostituita da un corpo sociale ed ecclesiale molto più frammentato. Era facile identificare l’élite cattolica con il clero, gli intellettuali cattolici e i leader politici cattolici; era consueto vedere nella leadership laica nella chiesa cattolica i resti di una élite laica cattolica impegnata nella politica, nel mondo degli affari, nella cultura e nel mondo accademico. Ora il ruolo di guida del clero è in profonda difficoltà, e ci sono leader laici cattolici la cui voce conta più di molti vescovi e cardinali insieme, ma non fanno più parte dell’antica élite laica cattolica. È uno degli effetti della crisi della teologia del laicato novecentesca10. D’altra parte, “il popolo” per la chiesa è ancora importante ma molto più come idea teologica (il popolo di Dio) che come realtà omogenea e socialmente tangibile. Frammentato ideologicamente, socialmente ed etnicamente, il cattolicesimo globalizzato deve fare i conti con la necessità di ridefinire chi e il suo popolo e chi sono i suoi popoli.

La teologia del sacerdozio e il modo in cui il sacerdozio viene formato e selezionato non sono cambiati in questi ultimi cinquant’anni, è in generale il vero significato della leadership della chiesa e del popolo della chiesa che è cambiato in modo significativo. Basterà qui notare la crisi profonda e probabilmente irrecuperabile dell’identificazione tra clero e leadership della chiesa. Il secondo millennio ha visto questa identificazione essere creata a partire dalla “rivoluzione gregoriana” del secolo XI. Il terzo millennio probabilmente si sbarazzerà di questa identificazione: in parte riconoscendo la teologia vissuta delle nostre comunità, parlandone discutendo teologicamente ed ecclesiologicamente la necessità di una ridefinizione della leadership e del ministero della Chiesa11.

Infine, sulla questione del culto ci si deve chiedere se non siamo in presenza di una nuova fase del movimento liturgico, alla luce del carattere divisivo della questione liturgica che nasce dalla riduzione della teologia della tradizione a tradizionalismo. Il motu proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI (2007), documento che ha liberalizzato l’uso della liturgia romana delle celebrazioni precedenti le riforme avviate dal concilio Vaticano II (1962-65), ha cambiato significativamente la situazione e quindi anche la questione del tradizionalismo liturgico nella chiesa cattolica. Summorum Pontificum ha rafforzato il mondo preesistente e sociologicamente limitato del tradizionalismo liturgico e lo ha proiettato sul più vasto mondo della chiesa cattolica, specialmente nei contesti di lingua inglese. Ha dato legittimità teologica a punti di vista tradizionalisti sulle riforme liturgiche del Vaticano II. Ha accresciuto la visibilità della liturgia tradizionalista negli spazi virtuali e non solo della Chiesa cattolica. Questo ha avuto un impatto significativo su parti consistenti del cattolicesimo romano contemporaneo e di quello futuro, soprattutto sui giovani cattolici impegnati e sui cattolici born again o convertiti di recente da altre tradizioni cristiane (specialmente dalle chiese della Riforma protestante), nonché sui seminaristi e giovani sacerdoti.

Vi è un legame tra il risorgente tradizionalismo liturgico e la crisi della globalizzazione e dell’universalismo all’interno del cattolicesimo: il Vaticano II e la teologia della liturgia del concilio sono parte di questa reazione contro una inculturazione che non sia la cultura del cattolicesimo latino medievale e controriformistico. La rinascita del tradizionalismo è tipica di tutte le religioni nell’era del “post-secolare”, e il cattolicesimo non fa eccezione: il neo-tradizionalismo cattolico va ben al di là dei confini storico-culturali in cui nasce lo scisma di Marcel Lefebvre subito dopo il Vaticano II, ed è possibile che con Summorum Pontificum si sia aperta una nuova fase nella storia del movimento liturgico. La vera questione è quella del nesso tra il tradizionalismo liturgico e gli effetti negativo sull’accettazione di altri documenti del Vaticano II, come quello sull’ecumenismo, sul dialogo interreligioso e sull’attività missionaria della Chiesa, ma anche sulla teologia della rivelazione e sull’ecclesiologia.

4. La “Weltkirche” post-conciliare e la reazione neo-tradizionalista

Nonostante i legittimi rimproveri della teologia conciliare per il silenziamento o la riduzione degli impulsi conciliari da parte dell’istituzione ecclesiastica, è difficile negare che la chiesa cattolica attuale sia in larga misura la chiesa del Vaticano II: il nuovo establishment cattolico è frutto del Vaticano II. Questo establishment si trova di fronte ad una reazione neo-tradizionalista che non è una rivoluzione, ma neppure una effimera rivolta.

La chiesa del futuro dovrà fare i conti con la reazione neo-tradizionalista che si è fatta evidente durante il pontificato di Benedetto XVI e di Francesco. È una reazione che ha la sua capitale nel cattolicesimo anglofono, animata da componenti diverse in relazioni complesse tra di loro. C’è la componente teologica, quella del progetto teologico post-liberale, che in America trova la sua voce in uno degli osservatori ecumenici al Vaticano II, George Lindbeck (1923-2018), che dalla chiesa luterana si espande al cattolicesimo dove trova dimora più stabile. Una seconda componente è quella della evangelicalizzazione del cattolicesimo in risposta alla complessità della teologia conciliare e post-conciliare e i suoi “cedimenti” alla modernità secolare. Una terza componente è quella di un cattolicesimo della rivolta conservatrice anti-istituzionale che vede nell’establishment cattolico – istituzionale e culturale – e nelle sue debolezze (nei confronti della crisi degli abusi sessuali, della secolarizzazione, dell’Islam) un establishment creato dal concilio e dal post-concilio, e che quindi va abbattuto e ricostruito una volta che le nuove leve clericali, formate dalla cultura neo-tradizionalista dei seminari, avranno sostituito la generazione dei preti e vescovi del secolo XX. Una quarta componente è la critica cattolica della globalizzazione come globalismo, che prende la forma di un anti-internazionalismo che sovente diventa etno-nazionalismo e nativismo. È la crisi dell’internazionalismo cattolico novecentesco, eredità dell’ultramontanismo e papalismo ottocentesco. Questo anti-internazionalismo cattolico assume la superiorità culturale e teologica della cultura dell’Europa della cristianità medievale e dell’occidente cristiano, contro la globalizzazione economica e finanziaria ma anche contro la globalizzazione del cattolicesimo.

Questa reazione neo-tradizionalista, in forme varie, è un fenomeno minoritario ma che difficilmente verrà riassorbito senza sussulti: il cattolicesimo conciliare mainstream non è più la forma del cattolicesimo romano, o è un mainstream che esiste ancora ma soltanto come una delle possibili forme del cattolicesimo globale contemporaneo. In questo frangente il processo di recezione conciliare incontra una resistenza che si è fatta più forte nel corso dell’ultimo quindicennio ed è diventata visibile per opposizione al pontificato di Francesco.

Non è chiaro se questo passaggio della recezione conciliare significherà una chiesa permanentemente divisa, con quale tipo di divisione interna, oppure una chiesa proiettata all’indietro verso una revisione della teologia conciliare. Quest’ultimo scenario è intellettualmente difficilmente immaginabile, dato il carattere fondativo della teologia conciliare per tutto il magistero e la teologia post-conciliari.

Conclusione

Il pontificato di Francesco ha riaperto la questione del futuro della chiesa da molti punti di vista: da quello della globalizzazione e diversificazione del cattolicesimo, a quello del rapporto con la tradizione. La chiesa è “in uscita” non solo dal centro alle periferie, ma anche in uscita da paradigmi storico-culturali che erano stati assunti come definitivi. È uno scenario in movimento che per essere interpretato richiede una visione storica di lungo periodo assieme a un approccio capace di discernere la nuova dimensione globale che rappresenta la vera incognita rispetto al futuro della chiesa.

Sommario

L’articolo tenta di analizzare alcune linee di tendenza per la chiesa del futuro partendo dalle traiettorie aperte dal concilio Vaticano II e riprese di recente da papa Francesco. Pur tra situazioni locali diverse, alcune questioni sono comuni a tutta la chiesa globale: una concezione della leadership non isolata al ministero ordinato; una visione della ministerialità della chiesa come servizio; il ruolo delle donne nella comunità ecclesiale. Gli ultimi anni hanno messo in evidenza due spinte contrastanti: una globalizzazione della chiesa e allo stesso tempo all’interno della chiesa anche una crisi della globalizzazione (religiosa e non solo) sotto forma del ritorno di fenomeni di reazione neo-tradizionalista, in materia liturgica e non solo, che sarebbe inadeguato sottovalutare e considerare come sintomi passeggeri destinati a scomparire in breve tempo.

Autore

Membro della Fondazione Giovanni XXIII di Bologna tra 1996 e 2008, è docente ordinario nel dipartimento di teologia e scienze religiose a Villanova University (Philadelphia, USA). Tra i suoi libri: The Rising Laity. Ecclesial Movements since Vatican II (Paulist Press, 2016); La onda larga del Vaticano II. Por un nuevo posconcilio (Universidad Alberto Hurtado: Santiago de Chile, 2017); Cattolicesimo, nazionalismo, cosmopolitismo. Chiesa, società e politica dal Vaticano II a papa Francesco. (Roma: Armando Editore, 2018).

Contatto

Villanova University Dept. of Theology and Religious Studies SAC 203 800 Lancaster Avenue Villanova, PA 19085 (USA) massimo.faggioli@villanova.edu

Massimo Faggioli – « La chiesa del futuro: prospettive storiche e sociologiche »

Massimo Faggioli

« La chiesa del futuro: prospettive storiche e sociologiche »


Concilium 2018-4. Kirche der Zukunft
Concilium 2018-4. The Church of the Future
Concilium 2018-4. La Iglesia del futuro
Concilium 2018-4. L’Église du futur
Concilium 2018-4. La Chiesa del futuro
Concilium 2018-4. A Igreja do Futuro

Thierry-Marie Courau OP, Stefanie Knauss et Enrico Galavotti (eds)

Introduzione

In un periodo in cui continuano ad emergere narrazioni diverse e talvolta contrastanti sul passato del cattolicesimo, a seconda delle voci e dei luoghi da cui emergono queste narrazioni, è necessario interrogarsi sulla chiesa del futuro. Ma ogni riflessione sulla questione della chiesa del futuro, ovvero dei possibili sviluppi dell’oggetto chiesa nel tempo a venire, deve ancorarsi ad una analisi storica. Per una comunità e un’istituzione come la chiesa l’elemento della tradizione è ancora dirimente, e nonostante tradizione e storia non si identifichino, la tradizione non può essere compresa – sia retrospettivamente nel passato che prospettivamente nel futuro – senza la storia. Alcune questioni si impongono come preliminari.

1. Prospettiva storica: dal Vaticano II al difficile inizio del secolo XXI

La prima questione è di inquadramento della chiesa contemporanea in un arco storico ampio. La periodizzazione della chiesa contemporanea non può prescindere dall’evento del concilio Vaticano II (1962-1965): la chiesa di oggi vive di una cultura religiosa e di una teologia conciliari post-conciliari che hanno caratteristiche diverse da quelle pre-conciliari1. Ma la questione della periodizzazione deve affrontare la questione del rapporto tra quell’evento periodizzante e il paradigma precedente quello tridentino: ovvero, come ha sottolineato Paolo Prodi, la questione è se il concilio Vaticano II ha aperto una nuova epoca, quella nella quale la chiesa si trova oggi, oppure se il concilio Vaticano II ha soltanto chiuso il periodo tridentino precedente, inaugurando non un’epoca nuova ma solo una transizione verso un nuovo periodo non ancora realizzatosi2.

Una seconda questione attiene alla pluralità di paradigmi. Se per il paradigma tridentino si può parlare di una chiesa che presupponeva almeno in teoria una forte unitarietà e uniformità di modelli sociali e culturali, per il periodo post-conciliare si deve iniziare a parlare di una pluriformità teologica, culturale e sociale non solo de facto, ma anche de iure. La chiesa post-conciliare consiste di modelli diversi o di diversità che si amplificano: tra chiese diverse in nazioni diverse, tra regioni diverse all’interno di una stessa nazione, tra comunità ecclesiali diverse all’interno di una stessa chiesa locale3.

Una terza questione storica necessaria ad impostare una riflessione sulla chiesa del futuro riguarda la periodizzazione del periodo post-conciliare, ovvero se vi siano e quali siano, nella storia della chiesa a partire dall’inizio dell’evento conciliare con la sua convocazione da parte di Giovanni XXIII quasi sessanta anni fa, periodi diversi caratterizzati da caratteristiche diverse. Da questo punto di vista, ci si può chiedere se il cambio di secolo non abbia coinciso con un nuovo periodo all’interno della storia della recezione conciliare. In modi diversi e su piani diversi, il venire alla luce del sex abuse crisis negli Stati Uniti tra 2001 e 2002 e le guerre causate dagli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001 hanno contribuito all’emergere di un nuovo tipo di consapevolezza nel rapporto tra religioni e politica globale e quindi anche una diversa consapevolezza nella chiesa e della chiesa. Non si tratta solo di un nuovo secolo dai tratti diversi da quelli attesi ed espressi dal cattolicesimo ufficiale (la lettera apostolica di Giovanni Paolo II Tertio Millennio Adveniente, 1994, e il grande Giubileo del 2000), ma si tratta anche di un diverso post-concilio, o di un “secondo post-concilio” che si apre con la transizione dalla generazione dei leader conciliari alla generazione dei cattolici nati e cresciuti nel post-concilio. Tra le caratteristiche di questa nuova consapevolezza, vi è un diverso rapporto col mondo contemporaneo – dal nuovo rapporto tra chiesa e secolarità del Vaticano II al mondo secolarizzato e post-secolare del secolo XXI4.

2. Tra declino sociologico, de-istituzionalizzazione e ripresa neo-tradizionalista

La situazione della chiesa attuale è caratterizzata da alcune caratteristiche consolidatesi nel periodo post-conciliare, che qui è possibile tratteggiare solo in modo generale. È evidente un declino sociologico della chiesa nell’emisfero nord-occidentale: un calo nella percentuale dei battezzati e dei messalizzanti nelle chiese in Europa e in Nord America – un calo che nel Nord America specialmente è mascherato dall’influsso di immigrati cattolici in particolare dall’America centrale e meridionale (e in misura minore anche in Europa dall’afflusso di cristiani emigrati o rifugiati dall’Europa orientale, Medio Oriente, e Africa). Questo declino comporta un minore influsso della chiesa nella cultura popolare e nella legislazione, una dispersione politica dell’elettorato cattolico in partiti e movimenti diversi, e un indebolimento delle istituzioni cattoliche (scuole, ospedali, associazioni, partiti e sindacati) nei paesi in cui il sistema del welfare non deve contare sulle istituzioni cattoliche sovvenzionate dallo stato. Ancora più visibile è la riduzione del numero dei ministri ordinati del culto e dei membri di ordini religiosi maschili e femminili, rispetto alla prima metà del secolo XX.

Questo ha significato una ridistribuzione degli incarichi di leadership nella chiesa: a favore del diaconato permanente maschile ripristinato dal Vaticano II (con un grande numero di diaconi specialmente in alcuni paesi, come negli Stati Uniti), a favore di un laicato maschile e femminile (formato in modo professionale e non), e a favore di un nuovo movimentismo laicale. Ma questa ridistribuzione è avvenuta in assenza di una reale discussione sul futuro della ministerialità (ordinata e non ordinata, femminile e maschile) nella chiesa, in difesa di un apparentemente inalterato modello di ministerialità sacerdotale e sacrale, maschile e celibataria. Si è inaugurato un pluralismo di ministeri e di figure ministeriali in gran parte extra legem, forzato dall’emergenza e reso possibile (quando possibile) dalle risorse finanziarie di chiese locali in grado di assumere personale laicale (maschile e femminile) in posizioni di cura pastorale che in altri tempi erano affidate esclusivamente al clero.

Insieme a questa situazione di declino sociologico e di ridefinizione dei profili della ministerialità va considerata a livello globale la persistenza istituzionale e “politica” in senso lato della chiesa e delle chiese5. Il volto post-conciliare e contemporaneo della chiesa è sempre più quello di una chiesa attiva sul fronte dei diritti umani (degli esseri umani in quanto tali, non in quanto appartenenti a un particolare chiesa o comunità religiosa) e di un welfare state integrativo delle lacune create dalle politiche neo-liberali, sia a livello di advocacy del papato e della Santa Sede, sia a livello di episcopati, clero, e associazioni locali.

Questo profilo movimentista della chiesa attuale deve conciliarsi con una grande diversificazione dei modelli di chiesa che risentono dei diversi modelli di rapporto tra stato e chiesa (nel continuum che va dal modello concordatario classico della “chiesa di stato” a quello della chiesa clandestina e perseguitata, passando per i diversi modelli separazionisti). Questa diversità di modelli contribuisce a configurare diversi stili di chiesa: da uno stile di chiesa “culture war” combattiva con mezzi legali sul fronte delle questioni bioetiche sensibili (come quella negli Stati Uniti) a quella dialogica con la laicità repubblicana (come in Francia) e del patriottismo costituzionale (come in Germania), a quella alle prese con la mediazione per l’apertura di una nuova fase nei rapporti tra Santa Sede e governo, con importanti riflessi sugli equilibri interni alla chiesa locale (come nella Repubblica Popolare Cinese).

Questi modelli istituzionali sono tutti sotto pressione da parte di un cristianesimo e una religione sempre meno dipendenti dall’istituzione religiosa. La “age of anger” contemporanea è anche un fenomeno religioso, e una fase successiva della “revanche de Dieu” di cui aveva parlato Gilles Kepel nei primi anni novanta6. Nell’ultimo quindicennio specialmente a partire dal cattolicesimo anglofono è iniziata una ripresa neo-tradizionalista, segno di un riflusso anti-conciliare in occidente: in parte riequilibrio delle spinte modernizzatrici e funzionaliste del periodo post-conciliare e della generazione dei baby boomers, in parte reazione alla spinta espansiva della secolarizzazione e dell’Islam in Europa e in Occidente.

3. Prospettive di tendenza: dottrina – vita – culto

Uno dei modi di analizzare le possibili prospettive di tendenza è di adottare la triade dottrina-vita-culto (dal paragrafo 8 della costituzione del concilio Vaticano II sulla rivelazione, Dei Verbum), i tre modi della tradizione. La questione centrale è tornata ad essere quella di diversi modi di intendere la tradizione, da cui deriva la rinnovata centralità di Dei Verbum nel dibattito sulla recezione conciliare7.

Dal punto di vista dottrinale, la transizione dai pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI a quello di Francesco ha significato una sanzione ufficiale, per via simbolica e istituzionale, della transizione (già avviata a livello culturale e teologico) da un modello romano, europeo, e occidentale a un modello policentrico non più dominato da un canone storico-geografico discendente dalla cristianità medievale. Questa transizione ha già un impatto sull’esegesi, la cristologia, l’ecclesiologia, la teologia morale e sulle questioni di genere e sui futuri assetti della vita ministeriale nella chiesa globale. Ma il futuro dottrinale del cattolicesimo dipende dalla soluzione che verrà data dal magistero e dalla teologia alla questione del concilio Vaticano II come evento che ha segnato un passaggio; in altre parole, dipende dalla strada che il cattolicesimo globale prenderà dopo il pontificato di Francesco, il quale ha interpretato in modo evidente un’interpretazione aperta del concilio.

Molto più evidenti e meno dipendenti dalla politica dottrinale, al momento attuale, paiono le tendenze in atto dal punto di vista della vita della chiesa e del culto. Dal punto di vista della vita della chiesa, le prospettive di tendenza suggeriscono una nuova stagione nei rapporti tra vocazione al ministero e stati di vita, in direzione di un superamento del modello binario tra ministero ordinato sacerdotale e stato di vita laicale.

La chiesa ha già recuperato in forme diverse e con iniziali riconoscimenti (come il diaconato permanente) una pluralità di vocazioni e ministeri più fedele alla chiesa delle origini e meno debitrice nei confronti dell’ecclesiologia del secondo millennio. La ministerialità degli ordini religiosi maschili e femminili del secondo millennio è in via di ridistribuzione all’interno di altre forme di vita comunitaria e associata (associazioni e movimenti) che prevedono una maggiore integrazione, non una separazione tra vocazione ecclesiale e vita laicale. Un discorso più ampio richiede la questione della governance ecclesiale: centro e periferie, popolo di Dio e ministeri8. Non v’è dubbio che una delle traiettorie ecclesiologiche a lungo termine per la chiesa cattolica è il modello sinodale: nella chiesa ci sono alcune questioni che meritano di essere oggetto di un ampio processo di riflessione e discernimento che coinvolgano il clero e i laici, in particolare donne. Durante i primi anni del suo pontificato, papa Francesco ha decentrato ai vescovi locali l’autorità di giudice per i processi brevi di nullità matrimoniale e alle conferenze episcopali nazionali la traduzione dei testi liturgici, salva la confirmatio (e non più la recognitio) da parte della Sede apostolica. Ma è una sfida che va oltre la componente episcopale. La componente non episcopale della chiesa cattolica (preti, monaci e fratelli/sorelle in ordini religiosi, laici e laiche) ha ricevuto sempre meno opportunità di esprimersi su alcune questioni urgenti: a una maggiore urgenza di consultare la chiesa è corrisposta finora una crescente indisponibilità da parte della chiesa istituzionale.

Non è un problema dipendente solamente dalle politiche dottrinali post-conciliari. I dibattiti e i documenti finali approvati al concilio Vaticano II inquadrarono la vita della chiesa in termini fortemente istituzionali: una chiesa la cui leadership era clericale, la cui articolazione era più territoriale che personale, e la cui posizione pubblica era sia partner che controparte di lo stato nazione che tra il XIX e il XX secolo ha sostituito gli imperi. È quindi un’istituzione che al Vaticano II stava cambiando, ma il cui ruolo non era del tutto diverso dal ruolo che l’istituzione aveva per i membri della Chiesa nei secoli precedenti. Sembra necessario riscoprire il complesso compenetrarsi di aspetti istituzionali e comunionali della chiesa cattolica. Una chiesa cattolica puramente comunionale e congregazionale è qualcosa che non è adeguato all’esperienza concreta e storica dei membri della Chiesa cattolica romana: si pensi alla necessità di vigilare su esperienze di abusi, sessuali e non, all’interno della chiesa. Questo non è un invito a mantenere lo status quo ovvero a sovra-istituzionalizzare la vita della Chiesa. La communio ecclesiarum è ora una dimensione più importante di prima, non solo per la magnitudo della globalizzazione della Chiesa cattolica, ma anche per la qualità di questa globalizzazione. È il volgersi della chiesa cattolica verso il sud del mondo, ma anche verso un mondo che è più urbanizzato di prima, dove la qualità esistenziale di una vita di fede è vissuta soprattutto in contesti urbani. L’esperienza cosmopolita di papa Francesco, il primo papa nato in una megalopoli del XX secolo, esprime la transizione del cattolicesimo a una nuova comprensione della compenetrazione di religiosi e secolari, di globale e locale, in una molteplicità di diversità.

Se è chiara la necessità del rafforzamento del livello medio dell’autorità ecclesiale tra il locale (diocesano) e l’universale (Roma), cioè il livello continentale e nazionale, vi è un aspetto cruciale per le future relazioni tra centro e periferia che il Vaticano II non ha affrontato, e sul quale il dibattito teologico post-Vaticano II è stato cauto se non circospetto: la necessità di immaginare il futuro della dimensione conciliare della chiesa cattolica, cioè in una chiesa dove i vescovi con diritto di partecipazione e di voto in un consiglio generale sono più di cinquemila. Un ulteriore problema è che quasi la metà di tutti i vescovi cattolici oggi sono vescovi o emeriti titolari. Non è solo una questione di problemi logistici di un concilio con migliaia di partecipanti (ora sarebbero quasi il doppio rispetto ai vescovi al Vaticano II) e delle soluzioni tecnologiche a questo problema, ma anche una questione di fare in modo che il concilio rimanga anche un atto spirituale e sacramentale che non può essere ridotto a una videoconferenza, a un “WikiCouncil” o un “concilium cyberspatiale primum”. È essenzialmente una questione di teologia della rappresentanza ecclesiale, e non di giurisprudenza9.

Questa questione di rappresentanza e rappresentazione ecclesiale va compresa nel quadro del sovvertimento del concetto sociale, politico ma anche teologico di “popolo”. Il XIX e XX secolo fu l’epoca della mobilitazione delle masse nei nuovi stati nazionali così come nella Chiesa. Quell’età è stata sostituita da un corpo sociale ed ecclesiale molto più frammentato. Era facile identificare l’élite cattolica con il clero, gli intellettuali cattolici e i leader politici cattolici; era consueto vedere nella leadership laica nella chiesa cattolica i resti di una élite laica cattolica impegnata nella politica, nel mondo degli affari, nella cultura e nel mondo accademico. Ora il ruolo di guida del clero è in profonda difficoltà, e ci sono leader laici cattolici la cui voce conta più di molti vescovi e cardinali insieme, ma non fanno più parte dell’antica élite laica cattolica. È uno degli effetti della crisi della teologia del laicato novecentesca10. D’altra parte, “il popolo” per la chiesa è ancora importante ma molto più come idea teologica (il popolo di Dio) che come realtà omogenea e socialmente tangibile. Frammentato ideologicamente, socialmente ed etnicamente, il cattolicesimo globalizzato deve fare i conti con la necessità di ridefinire chi e il suo popolo e chi sono i suoi popoli.

La teologia del sacerdozio e il modo in cui il sacerdozio viene formato e selezionato non sono cambiati in questi ultimi cinquant’anni, è in generale il vero significato della leadership della chiesa e del popolo della chiesa che è cambiato in modo significativo. Basterà qui notare la crisi profonda e probabilmente irrecuperabile dell’identificazione tra clero e leadership della chiesa. Il secondo millennio ha visto questa identificazione essere creata a partire dalla “rivoluzione gregoriana” del secolo XI. Il terzo millennio probabilmente si sbarazzerà di questa identificazione: in parte riconoscendo la teologia vissuta delle nostre comunità, parlandone discutendo teologicamente ed ecclesiologicamente la necessità di una ridefinizione della leadership e del ministero della Chiesa11.

Infine, sulla questione del culto ci si deve chiedere se non siamo in presenza di una nuova fase del movimento liturgico, alla luce del carattere divisivo della questione liturgica che nasce dalla riduzione della teologia della tradizione a tradizionalismo. Il motu proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI (2007), documento che ha liberalizzato l’uso della liturgia romana delle celebrazioni precedenti le riforme avviate dal concilio Vaticano II (1962-65), ha cambiato significativamente la situazione e quindi anche la questione del tradizionalismo liturgico nella chiesa cattolica. Summorum Pontificum ha rafforzato il mondo preesistente e sociologicamente limitato del tradizionalismo liturgico e lo ha proiettato sul più vasto mondo della chiesa cattolica, specialmente nei contesti di lingua inglese. Ha dato legittimità teologica a punti di vista tradizionalisti sulle riforme liturgiche del Vaticano II. Ha accresciuto la visibilità della liturgia tradizionalista negli spazi virtuali e non solo della Chiesa cattolica. Questo ha avuto un impatto significativo su parti consistenti del cattolicesimo romano contemporaneo e di quello futuro, soprattutto sui giovani cattolici impegnati e sui cattolici born again o convertiti di recente da altre tradizioni cristiane (specialmente dalle chiese della Riforma protestante), nonché sui seminaristi e giovani sacerdoti.

Vi è un legame tra il risorgente tradizionalismo liturgico e la crisi della globalizzazione e dell’universalismo all’interno del cattolicesimo: il Vaticano II e la teologia della liturgia del concilio sono parte di questa reazione contro una inculturazione che non sia la cultura del cattolicesimo latino medievale e controriformistico. La rinascita del tradizionalismo è tipica di tutte le religioni nell’era del “post-secolare”, e il cattolicesimo non fa eccezione: il neo-tradizionalismo cattolico va ben al di là dei confini storico-culturali in cui nasce lo scisma di Marcel Lefebvre subito dopo il Vaticano II, ed è possibile che con Summorum Pontificum si sia aperta una nuova fase nella storia del movimento liturgico. La vera questione è quella del nesso tra il tradizionalismo liturgico e gli effetti negativo sull’accettazione di altri documenti del Vaticano II, come quello sull’ecumenismo, sul dialogo interreligioso e sull’attività missionaria della Chiesa, ma anche sulla teologia della rivelazione e sull’ecclesiologia.

4. La “Weltkirche” post-conciliare e la reazione neo-tradizionalista

Nonostante i legittimi rimproveri della teologia conciliare per il silenziamento o la riduzione degli impulsi conciliari da parte dell’istituzione ecclesiastica, è difficile negare che la chiesa cattolica attuale sia in larga misura la chiesa del Vaticano II: il nuovo establishment cattolico è frutto del Vaticano II. Questo establishment si trova di fronte ad una reazione neo-tradizionalista che non è una rivoluzione, ma neppure una effimera rivolta.

La chiesa del futuro dovrà fare i conti con la reazione neo-tradizionalista che si è fatta evidente durante il pontificato di Benedetto XVI e di Francesco. È una reazione che ha la sua capitale nel cattolicesimo anglofono, animata da componenti diverse in relazioni complesse tra di loro. C’è la componente teologica, quella del progetto teologico post-liberale, che in America trova la sua voce in uno degli osservatori ecumenici al Vaticano II, George Lindbeck (1923-2018), che dalla chiesa luterana si espande al cattolicesimo dove trova dimora più stabile. Una seconda componente è quella della evangelicalizzazione del cattolicesimo in risposta alla complessità della teologia conciliare e post-conciliare e i suoi “cedimenti” alla modernità secolare. Una terza componente è quella di un cattolicesimo della rivolta conservatrice anti-istituzionale che vede nell’establishment cattolico – istituzionale e culturale – e nelle sue debolezze (nei confronti della crisi degli abusi sessuali, della secolarizzazione, dell’Islam) un establishment creato dal concilio e dal post-concilio, e che quindi va abbattuto e ricostruito una volta che le nuove leve clericali, formate dalla cultura neo-tradizionalista dei seminari, avranno sostituito la generazione dei preti e vescovi del secolo XX. Una quarta componente è la critica cattolica della globalizzazione come globalismo, che prende la forma di un anti-internazionalismo che sovente diventa etno-nazionalismo e nativismo. È la crisi dell’internazionalismo cattolico novecentesco, eredità dell’ultramontanismo e papalismo ottocentesco. Questo anti-internazionalismo cattolico assume la superiorità culturale e teologica della cultura dell’Europa della cristianità medievale e dell’occidente cristiano, contro la globalizzazione economica e finanziaria ma anche contro la globalizzazione del cattolicesimo.

Questa reazione neo-tradizionalista, in forme varie, è un fenomeno minoritario ma che difficilmente verrà riassorbito senza sussulti: il cattolicesimo conciliare mainstream non è più la forma del cattolicesimo romano, o è un mainstream che esiste ancora ma soltanto come una delle possibili forme del cattolicesimo globale contemporaneo. In questo frangente il processo di recezione conciliare incontra una resistenza che si è fatta più forte nel corso dell’ultimo quindicennio ed è diventata visibile per opposizione al pontificato di Francesco.

Non è chiaro se questo passaggio della recezione conciliare significherà una chiesa permanentemente divisa, con quale tipo di divisione interna, oppure una chiesa proiettata all’indietro verso una revisione della teologia conciliare. Quest’ultimo scenario è intellettualmente difficilmente immaginabile, dato il carattere fondativo della teologia conciliare per tutto il magistero e la teologia post-conciliari.

Conclusione

Il pontificato di Francesco ha riaperto la questione del futuro della chiesa da molti punti di vista: da quello della globalizzazione e diversificazione del cattolicesimo, a quello del rapporto con la tradizione. La chiesa è “in uscita” non solo dal centro alle periferie, ma anche in uscita da paradigmi storico-culturali che erano stati assunti come definitivi. È uno scenario in movimento che per essere interpretato richiede una visione storica di lungo periodo assieme a un approccio capace di discernere la nuova dimensione globale che rappresenta la vera incognita rispetto al futuro della chiesa.

Sommario

L’articolo tenta di analizzare alcune linee di tendenza per la chiesa del futuro partendo dalle traiettorie aperte dal concilio Vaticano II e riprese di recente da papa Francesco. Pur tra situazioni locali diverse, alcune questioni sono comuni a tutta la chiesa globale: una concezione della leadership non isolata al ministero ordinato; una visione della ministerialità della chiesa come servizio; il ruolo delle donne nella comunità ecclesiale. Gli ultimi anni hanno messo in evidenza due spinte contrastanti: una globalizzazione della chiesa e allo stesso tempo all’interno della chiesa anche una crisi della globalizzazione (religiosa e non solo) sotto forma del ritorno di fenomeni di reazione neo-tradizionalista, in materia liturgica e non solo, che sarebbe inadeguato sottovalutare e considerare come sintomi passeggeri destinati a scomparire in breve tempo.

Autore

Membro della Fondazione Giovanni XXIII di Bologna tra 1996 e 2008, è docente ordinario nel dipartimento di teologia e scienze religiose a Villanova University (Philadelphia, USA). Tra i suoi libri: The Rising Laity. Ecclesial Movements since Vatican II (Paulist Press, 2016); La onda larga del Vaticano II. Por un nuevo posconcilio (Universidad Alberto Hurtado: Santiago de Chile, 2017); Cattolicesimo, nazionalismo, cosmopolitismo. Chiesa, società e politica dal Vaticano II a papa Francesco. (Roma: Armando Editore, 2018).

Contatto

Villanova University Dept. of Theology and Religious Studies SAC 203 800 Lancaster Avenue Villanova, PA 19085 (USA) massimo.faggioli@villanova.edu

Massimo Faggioli – « La chiesa del futuro: prospettive storiche e sociologiche »

Massimo Faggioli

« La chiesa del futuro: prospettive storiche e sociologiche »


Concilium 2018-4. Kirche der Zukunft
Concilium 2018-4. The Church of the Future
Concilium 2018-4. La Iglesia del futuro
Concilium 2018-4. L’Église du futur
Concilium 2018-4. La Chiesa del futuro
Concilium 2018-4. A Igreja do Futuro

Thierry-Marie Courau OP, Stefanie Knauss et Enrico Galavotti (eds)

Introduzione

In un periodo in cui continuano ad emergere narrazioni diverse e talvolta contrastanti sul passato del cattolicesimo, a seconda delle voci e dei luoghi da cui emergono queste narrazioni, è necessario interrogarsi sulla chiesa del futuro. Ma ogni riflessione sulla questione della chiesa del futuro, ovvero dei possibili sviluppi dell’oggetto chiesa nel tempo a venire, deve ancorarsi ad una analisi storica. Per una comunità e un’istituzione come la chiesa l’elemento della tradizione è ancora dirimente, e nonostante tradizione e storia non si identifichino, la tradizione non può essere compresa – sia retrospettivamente nel passato che prospettivamente nel futuro – senza la storia. Alcune questioni si impongono come preliminari.

1. Prospettiva storica: dal Vaticano II al difficile inizio del secolo XXI

La prima questione è di inquadramento della chiesa contemporanea in un arco storico ampio. La periodizzazione della chiesa contemporanea non può prescindere dall’evento del concilio Vaticano II (1962-1965): la chiesa di oggi vive di una cultura religiosa e di una teologia conciliari post-conciliari che hanno caratteristiche diverse da quelle pre-conciliari1. Ma la questione della periodizzazione deve affrontare la questione del rapporto tra quell’evento periodizzante e il paradigma precedente quello tridentino: ovvero, come ha sottolineato Paolo Prodi, la questione è se il concilio Vaticano II ha aperto una nuova epoca, quella nella quale la chiesa si trova oggi, oppure se il concilio Vaticano II ha soltanto chiuso il periodo tridentino precedente, inaugurando non un’epoca nuova ma solo una transizione verso un nuovo periodo non ancora realizzatosi2.

Una seconda questione attiene alla pluralità di paradigmi. Se per il paradigma tridentino si può parlare di una chiesa che presupponeva almeno in teoria una forte unitarietà e uniformità di modelli sociali e culturali, per il periodo post-conciliare si deve iniziare a parlare di una pluriformità teologica, culturale e sociale non solo de facto, ma anche de iure. La chiesa post-conciliare consiste di modelli diversi o di diversità che si amplificano: tra chiese diverse in nazioni diverse, tra regioni diverse all’interno di una stessa nazione, tra comunità ecclesiali diverse all’interno di una stessa chiesa locale3.

Una terza questione storica necessaria ad impostare una riflessione sulla chiesa del futuro riguarda la periodizzazione del periodo post-conciliare, ovvero se vi siano e quali siano, nella storia della chiesa a partire dall’inizio dell’evento conciliare con la sua convocazione da parte di Giovanni XXIII quasi sessanta anni fa, periodi diversi caratterizzati da caratteristiche diverse. Da questo punto di vista, ci si può chiedere se il cambio di secolo non abbia coinciso con un nuovo periodo all’interno della storia della recezione conciliare. In modi diversi e su piani diversi, il venire alla luce del sex abuse crisis negli Stati Uniti tra 2001 e 2002 e le guerre causate dagli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001 hanno contribuito all’emergere di un nuovo tipo di consapevolezza nel rapporto tra religioni e politica globale e quindi anche una diversa consapevolezza nella chiesa e della chiesa. Non si tratta solo di un nuovo secolo dai tratti diversi da quelli attesi ed espressi dal cattolicesimo ufficiale (la lettera apostolica di Giovanni Paolo II Tertio Millennio Adveniente, 1994, e il grande Giubileo del 2000), ma si tratta anche di un diverso post-concilio, o di un “secondo post-concilio” che si apre con la transizione dalla generazione dei leader conciliari alla generazione dei cattolici nati e cresciuti nel post-concilio. Tra le caratteristiche di questa nuova consapevolezza, vi è un diverso rapporto col mondo contemporaneo – dal nuovo rapporto tra chiesa e secolarità del Vaticano II al mondo secolarizzato e post-secolare del secolo XXI4.

2. Tra declino sociologico, de-istituzionalizzazione e ripresa neo-tradizionalista

La situazione della chiesa attuale è caratterizzata da alcune caratteristiche consolidatesi nel periodo post-conciliare, che qui è possibile tratteggiare solo in modo generale. È evidente un declino sociologico della chiesa nell’emisfero nord-occidentale: un calo nella percentuale dei battezzati e dei messalizzanti nelle chiese in Europa e in Nord America – un calo che nel Nord America specialmente è mascherato dall’influsso di immigrati cattolici in particolare dall’America centrale e meridionale (e in misura minore anche in Europa dall’afflusso di cristiani emigrati o rifugiati dall’Europa orientale, Medio Oriente, e Africa). Questo declino comporta un minore influsso della chiesa nella cultura popolare e nella legislazione, una dispersione politica dell’elettorato cattolico in partiti e movimenti diversi, e un indebolimento delle istituzioni cattoliche (scuole, ospedali, associazioni, partiti e sindacati) nei paesi in cui il sistema del welfare non deve contare sulle istituzioni cattoliche sovvenzionate dallo stato. Ancora più visibile è la riduzione del numero dei ministri ordinati del culto e dei membri di ordini religiosi maschili e femminili, rispetto alla prima metà del secolo XX.

Questo ha significato una ridistribuzione degli incarichi di leadership nella chiesa: a favore del diaconato permanente maschile ripristinato dal Vaticano II (con un grande numero di diaconi specialmente in alcuni paesi, come negli Stati Uniti), a favore di un laicato maschile e femminile (formato in modo professionale e non), e a favore di un nuovo movimentismo laicale. Ma questa ridistribuzione è avvenuta in assenza di una reale discussione sul futuro della ministerialità (ordinata e non ordinata, femminile e maschile) nella chiesa, in difesa di un apparentemente inalterato modello di ministerialità sacerdotale e sacrale, maschile e celibataria. Si è inaugurato un pluralismo di ministeri e di figure ministeriali in gran parte extra legem, forzato dall’emergenza e reso possibile (quando possibile) dalle risorse finanziarie di chiese locali in grado di assumere personale laicale (maschile e femminile) in posizioni di cura pastorale che in altri tempi erano affidate esclusivamente al clero.

Insieme a questa situazione di declino sociologico e di ridefinizione dei profili della ministerialità va considerata a livello globale la persistenza istituzionale e “politica” in senso lato della chiesa e delle chiese5. Il volto post-conciliare e contemporaneo della chiesa è sempre più quello di una chiesa attiva sul fronte dei diritti umani (degli esseri umani in quanto tali, non in quanto appartenenti a un particolare chiesa o comunità religiosa) e di un welfare state integrativo delle lacune create dalle politiche neo-liberali, sia a livello di advocacy del papato e della Santa Sede, sia a livello di episcopati, clero, e associazioni locali.

Questo profilo movimentista della chiesa attuale deve conciliarsi con una grande diversificazione dei modelli di chiesa che risentono dei diversi modelli di rapporto tra stato e chiesa (nel continuum che va dal modello concordatario classico della “chiesa di stato” a quello della chiesa clandestina e perseguitata, passando per i diversi modelli separazionisti). Questa diversità di modelli contribuisce a configurare diversi stili di chiesa: da uno stile di chiesa “culture war” combattiva con mezzi legali sul fronte delle questioni bioetiche sensibili (come quella negli Stati Uniti) a quella dialogica con la laicità repubblicana (come in Francia) e del patriottismo costituzionale (come in Germania), a quella alle prese con la mediazione per l’apertura di una nuova fase nei rapporti tra Santa Sede e governo, con importanti riflessi sugli equilibri interni alla chiesa locale (come nella Repubblica Popolare Cinese).

Questi modelli istituzionali sono tutti sotto pressione da parte di un cristianesimo e una religione sempre meno dipendenti dall’istituzione religiosa. La “age of anger” contemporanea è anche un fenomeno religioso, e una fase successiva della “revanche de Dieu” di cui aveva parlato Gilles Kepel nei primi anni novanta6. Nell’ultimo quindicennio specialmente a partire dal cattolicesimo anglofono è iniziata una ripresa neo-tradizionalista, segno di un riflusso anti-conciliare in occidente: in parte riequilibrio delle spinte modernizzatrici e funzionaliste del periodo post-conciliare e della generazione dei baby boomers, in parte reazione alla spinta espansiva della secolarizzazione e dell’Islam in Europa e in Occidente.

3. Prospettive di tendenza: dottrina – vita – culto

Uno dei modi di analizzare le possibili prospettive di tendenza è di adottare la triade dottrina-vita-culto (dal paragrafo 8 della costituzione del concilio Vaticano II sulla rivelazione, Dei Verbum), i tre modi della tradizione. La questione centrale è tornata ad essere quella di diversi modi di intendere la tradizione, da cui deriva la rinnovata centralità di Dei Verbum nel dibattito sulla recezione conciliare7.

Dal punto di vista dottrinale, la transizione dai pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI a quello di Francesco ha significato una sanzione ufficiale, per via simbolica e istituzionale, della transizione (già avviata a livello culturale e teologico) da un modello romano, europeo, e occidentale a un modello policentrico non più dominato da un canone storico-geografico discendente dalla cristianità medievale. Questa transizione ha già un impatto sull’esegesi, la cristologia, l’ecclesiologia, la teologia morale e sulle questioni di genere e sui futuri assetti della vita ministeriale nella chiesa globale. Ma il futuro dottrinale del cattolicesimo dipende dalla soluzione che verrà data dal magistero e dalla teologia alla questione del concilio Vaticano II come evento che ha segnato un passaggio; in altre parole, dipende dalla strada che il cattolicesimo globale prenderà dopo il pontificato di Francesco, il quale ha interpretato in modo evidente un’interpretazione aperta del concilio.

Molto più evidenti e meno dipendenti dalla politica dottrinale, al momento attuale, paiono le tendenze in atto dal punto di vista della vita della chiesa e del culto. Dal punto di vista della vita della chiesa, le prospettive di tendenza suggeriscono una nuova stagione nei rapporti tra vocazione al ministero e stati di vita, in direzione di un superamento del modello binario tra ministero ordinato sacerdotale e stato di vita laicale.

La chiesa ha già recuperato in forme diverse e con iniziali riconoscimenti (come il diaconato permanente) una pluralità di vocazioni e ministeri più fedele alla chiesa delle origini e meno debitrice nei confronti dell’ecclesiologia del secondo millennio. La ministerialità degli ordini religiosi maschili e femminili del secondo millennio è in via di ridistribuzione all’interno di altre forme di vita comunitaria e associata (associazioni e movimenti) che prevedono una maggiore integrazione, non una separazione tra vocazione ecclesiale e vita laicale. Un discorso più ampio richiede la questione della governance ecclesiale: centro e periferie, popolo di Dio e ministeri8. Non v’è dubbio che una delle traiettorie ecclesiologiche a lungo termine per la chiesa cattolica è il modello sinodale: nella chiesa ci sono alcune questioni che meritano di essere oggetto di un ampio processo di riflessione e discernimento che coinvolgano il clero e i laici, in particolare donne. Durante i primi anni del suo pontificato, papa Francesco ha decentrato ai vescovi locali l’autorità di giudice per i processi brevi di nullità matrimoniale e alle conferenze episcopali nazionali la traduzione dei testi liturgici, salva la confirmatio (e non più la recognitio) da parte della Sede apostolica. Ma è una sfida che va oltre la componente episcopale. La componente non episcopale della chiesa cattolica (preti, monaci e fratelli/sorelle in ordini religiosi, laici e laiche) ha ricevuto sempre meno opportunità di esprimersi su alcune questioni urgenti: a una maggiore urgenza di consultare la chiesa è corrisposta finora una crescente indisponibilità da parte della chiesa istituzionale.

Non è un problema dipendente solamente dalle politiche dottrinali post-conciliari. I dibattiti e i documenti finali approvati al concilio Vaticano II inquadrarono la vita della chiesa in termini fortemente istituzionali: una chiesa la cui leadership era clericale, la cui articolazione era più territoriale che personale, e la cui posizione pubblica era sia partner che controparte di lo stato nazione che tra il XIX e il XX secolo ha sostituito gli imperi. È quindi un’istituzione che al Vaticano II stava cambiando, ma il cui ruolo non era del tutto diverso dal ruolo che l’istituzione aveva per i membri della Chiesa nei secoli precedenti. Sembra necessario riscoprire il complesso compenetrarsi di aspetti istituzionali e comunionali della chiesa cattolica. Una chiesa cattolica puramente comunionale e congregazionale è qualcosa che non è adeguato all’esperienza concreta e storica dei membri della Chiesa cattolica romana: si pensi alla necessità di vigilare su esperienze di abusi, sessuali e non, all’interno della chiesa. Questo non è un invito a mantenere lo status quo ovvero a sovra-istituzionalizzare la vita della Chiesa. La communio ecclesiarum è ora una dimensione più importante di prima, non solo per la magnitudo della globalizzazione della Chiesa cattolica, ma anche per la qualità di questa globalizzazione. È il volgersi della chiesa cattolica verso il sud del mondo, ma anche verso un mondo che è più urbanizzato di prima, dove la qualità esistenziale di una vita di fede è vissuta soprattutto in contesti urbani. L’esperienza cosmopolita di papa Francesco, il primo papa nato in una megalopoli del XX secolo, esprime la transizione del cattolicesimo a una nuova comprensione della compenetrazione di religiosi e secolari, di globale e locale, in una molteplicità di diversità.

Se è chiara la necessità del rafforzamento del livello medio dell’autorità ecclesiale tra il locale (diocesano) e l’universale (Roma), cioè il livello continentale e nazionale, vi è un aspetto cruciale per le future relazioni tra centro e periferia che il Vaticano II non ha affrontato, e sul quale il dibattito teologico post-Vaticano II è stato cauto se non circospetto: la necessità di immaginare il futuro della dimensione conciliare della chiesa cattolica, cioè in una chiesa dove i vescovi con diritto di partecipazione e di voto in un consiglio generale sono più di cinquemila. Un ulteriore problema è che quasi la metà di tutti i vescovi cattolici oggi sono vescovi o emeriti titolari. Non è solo una questione di problemi logistici di un concilio con migliaia di partecipanti (ora sarebbero quasi il doppio rispetto ai vescovi al Vaticano II) e delle soluzioni tecnologiche a questo problema, ma anche una questione di fare in modo che il concilio rimanga anche un atto spirituale e sacramentale che non può essere ridotto a una videoconferenza, a un “WikiCouncil” o un “concilium cyberspatiale primum”. È essenzialmente una questione di teologia della rappresentanza ecclesiale, e non di giurisprudenza9.

Questa questione di rappresentanza e rappresentazione ecclesiale va compresa nel quadro del sovvertimento del concetto sociale, politico ma anche teologico di “popolo”. Il XIX e XX secolo fu l’epoca della mobilitazione delle masse nei nuovi stati nazionali così come nella Chiesa. Quell’età è stata sostituita da un corpo sociale ed ecclesiale molto più frammentato. Era facile identificare l’élite cattolica con il clero, gli intellettuali cattolici e i leader politici cattolici; era consueto vedere nella leadership laica nella chiesa cattolica i resti di una élite laica cattolica impegnata nella politica, nel mondo degli affari, nella cultura e nel mondo accademico. Ora il ruolo di guida del clero è in profonda difficoltà, e ci sono leader laici cattolici la cui voce conta più di molti vescovi e cardinali insieme, ma non fanno più parte dell’antica élite laica cattolica. È uno degli effetti della crisi della teologia del laicato novecentesca10. D’altra parte, “il popolo” per la chiesa è ancora importante ma molto più come idea teologica (il popolo di Dio) che come realtà omogenea e socialmente tangibile. Frammentato ideologicamente, socialmente ed etnicamente, il cattolicesimo globalizzato deve fare i conti con la necessità di ridefinire chi e il suo popolo e chi sono i suoi popoli.

La teologia del sacerdozio e il modo in cui il sacerdozio viene formato e selezionato non sono cambiati in questi ultimi cinquant’anni, è in generale il vero significato della leadership della chiesa e del popolo della chiesa che è cambiato in modo significativo. Basterà qui notare la crisi profonda e probabilmente irrecuperabile dell’identificazione tra clero e leadership della chiesa. Il secondo millennio ha visto questa identificazione essere creata a partire dalla “rivoluzione gregoriana” del secolo XI. Il terzo millennio probabilmente si sbarazzerà di questa identificazione: in parte riconoscendo la teologia vissuta delle nostre comunità, parlandone discutendo teologicamente ed ecclesiologicamente la necessità di una ridefinizione della leadership e del ministero della Chiesa11.

Infine, sulla questione del culto ci si deve chiedere se non siamo in presenza di una nuova fase del movimento liturgico, alla luce del carattere divisivo della questione liturgica che nasce dalla riduzione della teologia della tradizione a tradizionalismo. Il motu proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI (2007), documento che ha liberalizzato l’uso della liturgia romana delle celebrazioni precedenti le riforme avviate dal concilio Vaticano II (1962-65), ha cambiato significativamente la situazione e quindi anche la questione del tradizionalismo liturgico nella chiesa cattolica. Summorum Pontificum ha rafforzato il mondo preesistente e sociologicamente limitato del tradizionalismo liturgico e lo ha proiettato sul più vasto mondo della chiesa cattolica, specialmente nei contesti di lingua inglese. Ha dato legittimità teologica a punti di vista tradizionalisti sulle riforme liturgiche del Vaticano II. Ha accresciuto la visibilità della liturgia tradizionalista negli spazi virtuali e non solo della Chiesa cattolica. Questo ha avuto un impatto significativo su parti consistenti del cattolicesimo romano contemporaneo e di quello futuro, soprattutto sui giovani cattolici impegnati e sui cattolici born again o convertiti di recente da altre tradizioni cristiane (specialmente dalle chiese della Riforma protestante), nonché sui seminaristi e giovani sacerdoti.

Vi è un legame tra il risorgente tradizionalismo liturgico e la crisi della globalizzazione e dell’universalismo all’interno del cattolicesimo: il Vaticano II e la teologia della liturgia del concilio sono parte di questa reazione contro una inculturazione che non sia la cultura del cattolicesimo latino medievale e controriformistico. La rinascita del tradizionalismo è tipica di tutte le religioni nell’era del “post-secolare”, e il cattolicesimo non fa eccezione: il neo-tradizionalismo cattolico va ben al di là dei confini storico-culturali in cui nasce lo scisma di Marcel Lefebvre subito dopo il Vaticano II, ed è possibile che con Summorum Pontificum si sia aperta una nuova fase nella storia del movimento liturgico. La vera questione è quella del nesso tra il tradizionalismo liturgico e gli effetti negativo sull’accettazione di altri documenti del Vaticano II, come quello sull’ecumenismo, sul dialogo interreligioso e sull’attività missionaria della Chiesa, ma anche sulla teologia della rivelazione e sull’ecclesiologia.

4. La “Weltkirche” post-conciliare e la reazione neo-tradizionalista

Nonostante i legittimi rimproveri della teologia conciliare per il silenziamento o la riduzione degli impulsi conciliari da parte dell’istituzione ecclesiastica, è difficile negare che la chiesa cattolica attuale sia in larga misura la chiesa del Vaticano II: il nuovo establishment cattolico è frutto del Vaticano II. Questo establishment si trova di fronte ad una reazione neo-tradizionalista che non è una rivoluzione, ma neppure una effimera rivolta.

La chiesa del futuro dovrà fare i conti con la reazione neo-tradizionalista che si è fatta evidente durante il pontificato di Benedetto XVI e di Francesco. È una reazione che ha la sua capitale nel cattolicesimo anglofono, animata da componenti diverse in relazioni complesse tra di loro. C’è la componente teologica, quella del progetto teologico post-liberale, che in America trova la sua voce in uno degli osservatori ecumenici al Vaticano II, George Lindbeck (1923-2018), che dalla chiesa luterana si espande al cattolicesimo dove trova dimora più stabile. Una seconda componente è quella della evangelicalizzazione del cattolicesimo in risposta alla complessità della teologia conciliare e post-conciliare e i suoi “cedimenti” alla modernità secolare. Una terza componente è quella di un cattolicesimo della rivolta conservatrice anti-istituzionale che vede nell’establishment cattolico – istituzionale e culturale – e nelle sue debolezze (nei confronti della crisi degli abusi sessuali, della secolarizzazione, dell’Islam) un establishment creato dal concilio e dal post-concilio, e che quindi va abbattuto e ricostruito una volta che le nuove leve clericali, formate dalla cultura neo-tradizionalista dei seminari, avranno sostituito la generazione dei preti e vescovi del secolo XX. Una quarta componente è la critica cattolica della globalizzazione come globalismo, che prende la forma di un anti-internazionalismo che sovente diventa etno-nazionalismo e nativismo. È la crisi dell’internazionalismo cattolico novecentesco, eredità dell’ultramontanismo e papalismo ottocentesco. Questo anti-internazionalismo cattolico assume la superiorità culturale e teologica della cultura dell’Europa della cristianità medievale e dell’occidente cristiano, contro la globalizzazione economica e finanziaria ma anche contro la globalizzazione del cattolicesimo.

Questa reazione neo-tradizionalista, in forme varie, è un fenomeno minoritario ma che difficilmente verrà riassorbito senza sussulti: il cattolicesimo conciliare mainstream non è più la forma del cattolicesimo romano, o è un mainstream che esiste ancora ma soltanto come una delle possibili forme del cattolicesimo globale contemporaneo. In questo frangente il processo di recezione conciliare incontra una resistenza che si è fatta più forte nel corso dell’ultimo quindicennio ed è diventata visibile per opposizione al pontificato di Francesco.

Non è chiaro se questo passaggio della recezione conciliare significherà una chiesa permanentemente divisa, con quale tipo di divisione interna, oppure una chiesa proiettata all’indietro verso una revisione della teologia conciliare. Quest’ultimo scenario è intellettualmente difficilmente immaginabile, dato il carattere fondativo della teologia conciliare per tutto il magistero e la teologia post-conciliari.

Conclusione

Il pontificato di Francesco ha riaperto la questione del futuro della chiesa da molti punti di vista: da quello della globalizzazione e diversificazione del cattolicesimo, a quello del rapporto con la tradizione. La chiesa è “in uscita” non solo dal centro alle periferie, ma anche in uscita da paradigmi storico-culturali che erano stati assunti come definitivi. È uno scenario in movimento che per essere interpretato richiede una visione storica di lungo periodo assieme a un approccio capace di discernere la nuova dimensione globale che rappresenta la vera incognita rispetto al futuro della chiesa.

Sommario

L’articolo tenta di analizzare alcune linee di tendenza per la chiesa del futuro partendo dalle traiettorie aperte dal concilio Vaticano II e riprese di recente da papa Francesco. Pur tra situazioni locali diverse, alcune questioni sono comuni a tutta la chiesa globale: una concezione della leadership non isolata al ministero ordinato; una visione della ministerialità della chiesa come servizio; il ruolo delle donne nella comunità ecclesiale. Gli ultimi anni hanno messo in evidenza due spinte contrastanti: una globalizzazione della chiesa e allo stesso tempo all’interno della chiesa anche una crisi della globalizzazione (religiosa e non solo) sotto forma del ritorno di fenomeni di reazione neo-tradizionalista, in materia liturgica e non solo, che sarebbe inadeguato sottovalutare e considerare come sintomi passeggeri destinati a scomparire in breve tempo.

Autore

Membro della Fondazione Giovanni XXIII di Bologna tra 1996 e 2008, è docente ordinario nel dipartimento di teologia e scienze religiose a Villanova University (Philadelphia, USA). Tra i suoi libri: The Rising Laity. Ecclesial Movements since Vatican II (Paulist Press, 2016); La onda larga del Vaticano II. Por un nuevo posconcilio (Universidad Alberto Hurtado: Santiago de Chile, 2017); Cattolicesimo, nazionalismo, cosmopolitismo. Chiesa, società e politica dal Vaticano II a papa Francesco. (Roma: Armando Editore, 2018).

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